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Klaus Lehnart, una passione totale. E’ morto Il capitano di Leki

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da Redazione outdoortest.it

Il ricordo che ho di Klaus Lehnart è proprio sul suo aereo. Aeroporto di Mattarello (Tn), qualche anno fa', Leki invita gli atleti azzurri dello sci propri testimonial a provare l'ebbrezza del volo e con loro una ristretta cerchia di giornalisti, di cui faccio parte. Nell'aria c'è curiosità per quello che andremo a sperimentare, ma quando Klaus decolla per un volo dimostrativo e si esibisce sopra le nostre teste in inimmaginabili evoluzioni freestlye, ci chiediamo se non sia il caso di fare marcia indietro. Ma l'attrazione è troppa. Il piccolo, compatto e potente velivolo sembra un giocattolo, visto da vicino. Rosso fiammante, lucido, esercita un'attrazione quasi magnetica e non importa se il nostro stomaco, ci è stato detto, subirà maltrattamenti violenti, la voglia di salire a bordo cresce. Viene il mio turno, di proposito non guardo le facce livide di Manfred Moelgg e compagni appena atterrati, ma mi concentro su come memorizzare ogni dettaglio di questa esperienza unica che Mr. Leki mi offre.

Sono seduto davanti in un abitacolo angusto ma comodo. La visuale davanti a me è ampia e, mentre decolliamo, Klaus comincia ad illustrare il programma di volo che, per una quindicina di minuti, ci porterà a sfiorare le montagne circostanti fino a raggiungere lo spazio aereo sopra il lago di Caldonazzo dove si svolgeranno le vere e proprie acrobazie. Partiamo con un "cuba eight" mi dice nelle cuffie e senza darmi il tempo di ribattere ne' di rendermene conto mi trovo ribaltato a testa in giù e una frazione di secondo dopo di nuovo in assetto normale e ancora subito dopo capovolto, per otto volte in meno di due secondi. Sono senza parole, mi chiede come sto, rispondo che non lo so ma che è entusiasmante. Picchiata verticale verso lo specchio argenteo del lago. Sto a vedere quando deciderà di riportare l'aereo in orizzontale, il che avverrà solo all'ultimo momento. Tiro un sospiro di sollievo ma non ho il tempo di rilassarmi. Il muso del monoelica punta in alto di nuovo e poi all'indietro in un looping dal raggio enorme. Vedo il sole poi l'acqua, il cielo, le montagne in un susseguirsi illogico. Sono inebriato, lo dico a Klaus che mi chiede se mi va di continuare e io grido di si.

Ogni manovra viene anticipata da una spiegazione ma, sinceramente, faccio fatica a ricordare i nomi e le sigle, preso come sono a vivere il momento e a tentare di riprendere il tutto con la mia fotocamera. Non ho percezione del tempo e all'improvviso il volo si placa e puntiamo verso l'aeroporto. Scendo dal Leki Extra 300 Spezial un po' instabile sulle gambe e con un vago senso di nausea, ma con la convinzione di aver capito la passione di Klaus, la droga del volo che lo porta a competere nei cieli europei inventando ogni volta nuove acrobazie, aggiungendo difficoltà, rapidità, quasi violenza alle manovre imposte al suo aereo. Un amore spropositato per il volo nella sua forma più dinamica. Immagino che egli abbia pensato più volte all'eventualità di cadere, di morire e sono certo che, alla fine, abbia sempre prevalso la passione sulla paura, in un atteggiamento razionale di accettazione del rischio come parte integrante della vita e, soprattutto dello sport.

L'industria dell'outdoor ha perso un imprenditore infaticabile, moderno, motivato. Un motore di idee che, soprattutto in questi momenti di crisi, avrebbe potuto contribuire a stimolare, a indicare nuove vie, a dare ulteriore speranza. Inutile dire che ci mancherà. R.I.P. Klaus


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