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SKI NEVER SLEEPS

Scritto il
da Redazione outdoortest.it

Dal blog di Alfredo Tradati

Andando a curiosare negli scritti del passato si trova sempre qualcosa di interessante. Questa volta ho ripescato una considerazione fatta all’indomani della chiusura della stagione di Coppa 2010-2011. Ruggine e insonnia… e mi sembra che non molto sia cambiato in 5 anni.

Lenzerheide chiude la Coppa 2011 tra mille difficoltà, problemi di sicurezza, qualche guizzo tecnico e un acuto azzurro insperato. Ma non c’è riposo per i guerrieri che da domani torneranno in pista per i test materiali, gli ultimi impegni agonistici istituzionali e il planning dei nuovi allenamenti. Ritmi diversi per i dirigenti FIS che tra convegni, congressi e meeting, si prodigheranno affinché nulla cambi.

Hey Hey My My… cantava Neil Young nel 1979. L’album era Rust Never Sleeps, si parlava di ruggine e insonnia, due ingredienti caratteristici, e opposti, dello sci agonistico odierno. La Coppa allora compiva 14 anni, una teenager esuberante, esplosiva, ma anche un’adolescente problematica che covava già in sé i germi di un autoritarismo militare, di un autoreferenzialismo che oggi sono i limiti principali di un movimento in recessione.

Guenther Hujara, padrone indiscusso del Circo, era allora coach delle squadre tedesche e “studiava” da leader per insediarsi al posto di comando nel 1991. Ad oggi sono passati vent’anni di una dittatura non sempre soft, dove gli spunti di litigio con gli atleti (molti) e le contestazioni aperte (poche) hanno fatto da leit motiv di una Coppa del mondo sempre più chiusa in sé stessa, orientata decisamente ad accontentare i potentati tradizionali e i nuovi mercati così appetitosi per i primi.

La ruggine, si sa, è un processo di ossidazione che compare con il passare del tempo e l’immobilismo e così, anno dopo anno, routine dopo routine, con le stesse facce sempre al loro posto, il meccanismo ha cominciato a rallentare il passo, ad incepparsi, a mostrare i segni evidenti di invecchiamento della sua stessa formula.  I grandi campioni, Tomba per primo, con le loro gesta coprivano involontariamente il deterioramento sul piano dell’immagine, mentre all’interno della FIS ci si arroccava come in un castello, o forse più “nido d’aquila”, data la teutonicità della leadership.

La ruggine si combatte con interventi drastici, eliminando per intero lo strato di metallo contaminato e proteggendo quello sottostante con appositi trattamenti. La Federazione dello sci, per rispondere al calo di interesse, di audience e di sponsor, ha preferito invece provare a mettere piccole e poco adatte pezze qua e la: slalom in tre manche, supercombinata con SG, paralleli dimostrativi, supercombinata con GS, … nella più totale continuità e conservazione di poltrone e ruoli.

Ruggine è un eufemismo per definire il rapporto tra Hujara e gli atleti, trattati in pista come dilettanti alle prese con le prime ricognizioni di pista, apostrofati pesantemente e “comandati” a bacchetta su quello che si può o non si può fare e alla fine sanzionati se l’affronto è giudicato troppo. Ci sono passati tutti, soprattutto i grandi come Tomba, Miller e per finire Cuche proprio a Lenzerheide. Ma la morale è una sola: se vuoi correre, ubbidisci! Ed è un ricatto.

Ma se il grande Neil ammoniva allora cantando che, sotto la ruggine, il Rock’n’roll non dorme e non muore mai, così gli atleti dello sci, seppur (troppo) silenziosamente, con il loro incessante impegno, perfezionismo, costanza, determinazione per il risultato dimostrano di possedere il dono dell’insonnia, la volontà di progredire, tecnicamente e atleticamente, senza porsi limiti di sorta, dando vero valore all’intero movimento, e speranza futura di cambiamento. 

All’indomani dell’ultima gara stagionale, infatti, lo sci non va in vacanza. C’è ancora neve invernale da sfruttare, ci sono meticolosi test di sci e scarponi da svolgere prima che il cristallo diventi totalmente rotondo, primaverile e, pertanto, inadatto ad ogni valutazione. Ci sono punti di fine stagione da inseguire per i più giovani, ci sono gli impegni “militari” per i nostri atleti “dilettanti”. E non può dormire nemmeno il fisico (oggi provato da una lunga stagione dove sono i trasferimenti in auto e aereo a stressare di più delle gare stesse) che, per primo, deve essere rigenerato e adeguatamente preparato a sopportare i carichi di allenamento estivi, a prevenire gli infortuni (troppi), a colmare quei deficit che sovente fanno la differenza tra il podio e l’anonimato.

Insonnia è quella malattia che colpisce tutti i tecnici, incapaci di fare “politica”, di difendere la propria professionalità con efficacia nei confronti del Palazzo, ma con la mente sempre accesa e tesa a trovare modi, tempi, soluzioni che possano portare alla vittoria i propri atleti. La passione li sostiene più del denaro (spesso poco, in ritardo e incerto), e li spinge a tentare in tutti modi, con mezzi adeguati e non, di “scientificizzare” uno sport che, con le sue mille variabili, si rifiuta di collaborare, affidando sovente al cuore il compito di designare il migliore.

E questo è il bello dello sci alpino.


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