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Racconti sportivi: climbing a Cavalcorto, lo Spigolo dei comaschi

Andrea Bottani, climber valtellinese, racconta la sua avventura.

Alice Dell'Omo Scritto il
da Alice Dell'Omo

Se sei un climber o un semplice frequentatore della Valmasino di certo non può esserti sfuggito quel pinnacolo che sovrasta l’abitato di San Martino e chissà quante volte ti sarai soffermato a pensare “chissà come sarà la vista da lassù!”. Si tratta della Cima di Cavalcorto, chiamata lo Spigolo dei comaschi, situato in provincia di Sondrio, in Lombardia. Perchè non salirci e scoprirlo di persona?

Andrea Bottani, classe 1995, climber valtellinese e appassionato di montagna, ci racconta la sua esperienza di climbing sulla Cima di Cavalcorto. Si presenta così: la montagna è tutto per me: un divertimento, uno svago, un luogo dove posso sentirmi libero e al sicuro da tutto. L’arrampicata, l’alpinismo, il canyoning, lo sci alpino e lo sci alpinismo sono i miei sport preferiti che pratico durante il mio tempo libero”.

Inizia l’avventura del climbing a Cavalcorto

“In un pomeriggio di fine estate, io e i miei amici ci ritroviamo sul sentiero che risale la splendida Val del Ferro nella più famosa Val di Mello per poter l’indomani “attaccare” la prima via risalita per la prima volta nel lontano 1953 da quattro ragazzi comaschi.

Val del Ferro, nella più famosa Val di Mello

L’avvicinamento è lungo e ripido. Risaliamo tutta la vallata divisa in due dalle grandi cascate del Ferro. Oltrepassati gli alpeggi ormai abbandonati puntiamo a cercare qualche masso abbastanza grande per poterci trascorrere sotto la notte: ne troviamo uno proprio come lo volevamo, abbastanza spazioso, con il fiume e della legna secca nelle vicinanze… direi perfetto!

Acceso un piccolo falò, ci mangiamo qualche scatoletta di tonno e riso freddo, mentre il buio inizia a scendere sulla vallata. La notte è fredda e stellata e noi ci godiamo la solitudine e la pace di quel momento pensando all’indomani.

Appena albeggia siamo pronti a ripartire più carichi che mai per questa avventura. Qualche sorso di succo e una vecchia tortina ci danno le energie necessarie per uscire dai sacchi a pelo e metterci in cammino.

Andrea Bottani alla conquista della Cima Cavalcorto

Risaliamo un conoide trasversale che in poco più di un ora ci porta all’attacco della via. Una roccia a forma di scarpone ci indica la strada giusta da seguire, in poco tempo ci ritroviamo sulla verticale della parete. Imbragati, preparata la ferraglia, legati siamo pronti per partire! Inizio con un tiro un po’ erboso che ci porta sotto un diedro dove iniziano le difficoltà.

Un vecchio cuneo di legno ci fa capire di esser sulla giusta strada. Dopo alcuni tiri arriva quello più difficile: un infimo camino ci sbarra la strada utile per proseguire. Lo guardiamo e cerchiamo di capire come affrontarlo: evitarlo non si può quindi con un po’ di sangue freddo iniziamo a piazzare qualche friend che emotivamente ci da la forza e la protezione necessaria in caso di caduta.

L’emozionante salita verso lo Spigolo dei comaschi

Incastrati i pugni in una grossa fessura alziamo i piedi in contrapposizione così da riuscire a guadagnare un paio di metri per oltrepassare questo insidioso ostacolo.

Dopo questo tiro il nostro morale è alle stelle perchè capiamo di essere quasi in cima: la difficoltà maggiore ormai l’abbiamo superata quindi iniziamo a goderci ancora di più la salita.

Qualche vecchio chiodo e cordino abbandonato ci conduce agli ultimi sforzi ed infine in vetta.

Essendo un posto davvero poco frequentato e abbandonato, i pensieri finiscono spesso alle gesta eroiche dei primi alpinisti che sono saliti su questa linea consapevoli di esser i primi a metterci piede, con vecchi scarponi zaini e corde pesantissime. Chapeau!

Dalla vetta tutto è magnifico: la vista, il nostro morale, la soddisfazione e il divertimento dell’arrampicata.

Un “bergheil” di vetta (è il saluto che ci si scambia una volta raggiunta una vetta con i compagni di cordata, è il saluto alla montagna), un boccone di quel che è rimasto nello zaino e siam pronti per la discesa.

Studiamo alcune relazioni stampate qualche giorno prima e cerchiamo la linea di discesa che dovrebbe trovarsi in prossimità di un torrione a destra della vetta. Siamo giusto in tempo per trovare la prima sosta di calata che sale una fitta nebbia che ci accompagnerà per tutta la discesa.

Iniziamo la prima delle otto calate che ci aspettano, le soste sono attrezzate a spit e seguono una via abbastanza recente su questa parete (“Giovani Marmotte 1994”) ma purtroppo ci rendiamo conto che tutti i cordini dai quali ci dobbiamo calare sono marci e si rompono sono a guardarli: perdiamo un po’ di tempo ma li sostituiamo tutti per esser più sereni.

Arrivati all’ultima sosta ci caliamo ma la corda non basta: ci mancano ancora un ventina di metri per toccare terra, avendo sostituito tutti i cordini alle soste ci rimane una sola fettuccia per poter attrezzare una calata. C’è un masso incastrato che fa al caso nostro: attorcigliamo l’ultima nostra fettuccia e così riusciamo a crearci un’ultima calata che finalmente ci riporta alla base della parete.

E’ fatta! Il nostro piccolo sogno è ormai concluso.

Durante il ritorno in fondovalle i pensieri già vagavano per le prossime avventure su quelle meravigliose montagne ricche di storie e bellezze”.

La Cima di Cavalcorto è stata risalita per la prima volta nel 1953


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