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Schladming 2013. In pista con Didier

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da Redazione outdoortest.it

L'appuntamento è fissato per le 8,30, alla stazione intermedia della cabinovia Planai, nei pressi dello start sul supergigante maschile. Gli atleti stanno iniziando la loro ricognizione e Didier è già li con loro, come se fosse pronto a buttarsi di nuovo in pista. Un Cuche rilassato, a suo agio nella veste di esperto televisivo, che risponde ai saluti di tutti, quasi degli omaggi reverenziali nei confronti di uno dei più grandi velocisti di tutti i tempi.

Ci salutiamo e subito mi prende sotto la sua ala. Scendiamo pochi metri al di sotto della partenza e con un gesto mi indica la neve, un misto di grumi ghiacciati a forma sferica dalla scarsa coesione tra loro. "Brutta faccenda" mi dice, "con questo tipo di neve non si può tenere, lo sci esterno è come se rotolasse fuori linea anche se gli stai sopra e premi con grande forza". E poi c'è la conformazione del terreno, il vero problema tecnico della Planai, una serie infinita di onde e di avvallamenti tra una curva e l'altra che se non causano distacchi o veri e propri salti, obbligano l'atleta ad un continuo lavoro di gambe "a stantuffo" per poter essere domati. "Vedi quelle onde? Bisogna farsele amiche. Bisogna imparare a parlarci ma prima è necessario ascoltare quello che dicono". Non credo alle mie orecchie, quello che sta parlando è uno dei discesisti più duri e coriacei del Circo bianco, uno che non ha mai sprecato parole e che adesso mi espone con grande naturalezza in perfetto inglese la propria filosofia tecnica.

Didier parla della neve e del terreno in modo quasi mistico, dimostrando una sintonia perfetta, frutto di una conoscenza profonda ma, ne sono certo, anche di tanto amore. "Quando arrivi sopra un dosso sei sempre tentato di dare pressione troppo presto, ma devi saper aspettare, digerirlo e poi progressivamente, sfruttando il terreno, cominciare a spingere. Allora lo sci prende in modo armonico, non ti restituisce frustate e la velocità fluisce". Tutto chiaro e, soprattutto, vi è la certezza che quello che Didier racconta è pura verità, è esattamente quello che c’é da fare per vincere.

Scendendo si chiacchiera, si incontrano allenatori e atleti e ogni volta Didier si sofferma a parlare, in francese, tedesco, inglese. I ragazzi svizzeri lo prendono come punto di riferimento e chiedono a lui, più che ai propri allenatori, consigli su dove e come passare, e lui non delude e spiega con pazienza e coinvolgimento. Claudio Ravetto, direttore tecnico azzurro, scherzando (ma non troppo), gli chiede se non avesse per caso voglia di venire ad allenare la squadra italiana: lui si fa serio e risponde che no, se deciderà di fare l’allenatore, sarà per i rossocrociati, lasciando trasparire che presumibilmente qualche discorso in proposito è già avviato.

Cuche mi racconta alcuni particolari di contorno, attinenti al nostro lavoro di telecronisti, come ad esempio il fatto che qui ai Mondiali le riprese aeree avrebbero dovuto essere realizzate da un poderoso “drone” (2m di lunghezza), capace di volare in autonomia per oltre sei ore, guidato da un tecnico dotato di un apposito joystick. Nulla di fatto a causa delle leggi militari austriache che non permettono ad alcun velivolo non autorizzato di sorvolare il territorio.

Siamo sullo schuss finale. “Finalmente la neve è cambiata, adesso è dura come si deve”, sottolinea, “queste curve sono fondamentali, se tagli sul palo e non anticipi a dovere, ti ritrovi a finire la curva ben al di sotto della linea blu esterna, e non c’é più alcuna possibilità di recupero fin sul traguardo”. Ed in effetti la storia della gara ha successivamente confermato appieno tutte le indicazioni di Cuche. Tagliamo il traguardo e ci separiamo, lui al parterre per le interviste e io in cabina a commentare. Inutile dire che non ho perso tempo per raccontare al pubblico di questa meravigliosa esperienza. Grazie Didier.

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