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Racconti sportivi: cosa significa fare un IronMan estremo?

Alberto Mottura racconta la sua esperienza dura, intensa, emozionante del Brixia Extreme Triathlon

Alice Dell'Omo Scritto il
da Alice Dell'Omo

IronMan: una parola che fa sognare, a volte spaventa, una parola che significa “impresa” e trasmette una grande ammirazione. Con Ironman si indica una delle distanze standard del triathlon, sport caratterizzato dall’insieme di tre discipline, nuoto, ciclismo e corsa. L’IronMan è la più dura competizione di tale sport, caratterizzata da 3,86 km di nuoto, 180,260 km in bicicletta e 42,195 km di corsa (cioè la distanza della maratona). La distanza è molto più elevata del triathlon olimpico, che misura invece 1.500 m di nuoto, 40 km in bicicletta e 10 km di corsa. Nelle gare le distanze sono le stesse sia per uomini che per le donne.

Con questo termine, che è un marchio registrato e considerato uno detto uno standard, spesso ci si riferisce a gare di altri circuiti di triathlon estremi. Come lo Stone Brixia Man, che fa parte dell’Extreme Triathlon Series (circuito internazionale), gara a cui ha partecipato Alberto Mottura, autore dell’intenso racconto che segue.

Lascio la parola ad Alberto, che ha ben narrato e descritto l’impresa che ha compiuto l’anno scorso: dal sogno, alla preparazione, delle varie sezioni in gara al finale. Chapeau!

Racconto sportivo: Stone Brixia Man

“Erano almeno un paio d’anni che in me si era accesa una piccola fiammella, 24 mesi in cui ho coltivato segretamente un sogno “proibito” che, tuttavia, tenevo relegato in uno dei cassetti più remoti della mia mente. Ma si sa, non è affatto facile nascondere le cose, tantomeno a noi stessi.

Sappiamo sempre esattamente dove si trovano, ogni tanto riaffiorano oppure siamo noi che, timidamente, le andiamo a sbirciare… Quel sogno un po’ matto, per me, si chiamava Stone Brixia Man, o più semplicemente Brixia. Per natura, sono sempre alla ricerca di esperienze non banali e un po’ fuori dal comune, di sfide apparentemente impossibili riservate a pochi, di quelle che mettono davvero alla prova. Con i suoi 4km di nuoto, 178 km di bici con 3800D+ e 40km di trail running con altri 2300D+, il Brixia Extreme Triathlon (su distanza Ironman) ha sempre avuto tutte le carte in regola per conquistarmi.

Il progetto

Mi serviva un pretesto però, un espediente che mi “obbligasse” ad espormi: l’occasione si presenta durante l’Elbaman 2018, quando – un po’ spacconamente – prometto ai miei compagni di squadra che se avessi concluso la gara sotto le 5h 30 min (quindi migliorando di oltre mezz’ora il tempo delle due precedenti edizioni), mi sarei iscritto al Brixia l’anno seguente. Morale della favola, chiudo la gara in 5h 29min 27sec. Tutti coloro che avevano raccolto le mie dichiarazioni ovviamente mi aspettavano al varco e da lì in avanti non avrebbero perso occasione di ricordarmi che avevo preso un impegno.

Io, quasi sollevato, avevo finalmente trovato quella “leva” che tanto mi serviva per tirare fuori il mio sogno dal cassetto e affrontarlo. Una volta effettuata la pre iscrizione, a dicembre 2018 mi ritrovo già mentalmente proiettato al 5 luglio 2019, data della gara, e realizzo di avere davanti a me sei lunghi mesi di intensi allenamenti da pianificare in maniera dettagliata. In accordo col mio fidato allenatore Fabrizio, decidiamo di iniziare a calendarizzare la stagione sportiva dal seguente gennaio.

La preparazione e l’attesa

Dicembre scivola via veloce e, quasi senza rendermene conto, nei primi freddi giorni dell’anno sono già sulla linea di partenza della Swim&Run di Noli, nella quale conquisto sorprendentemente un 6 posto assoluto e il 2 di categoria. Il percorso verso il Brixia è cominciato e io ci sono dentro fino al collo.

Col passare del tempo mi trovo impegnato in sessioni di allenamento sempre più impegnative, le cose da fare sono molte, ma tutte sapientemente programmate di settimana in settimana per assecondare il mio fisico senza rischiare l’over training. Mi dedico al nuoto, a sessioni indoor sui rulli per la bici e a sessioni di corsa in pista (imprescindibili per i lavori di qualità), su strada e sui sentieri sterrati a bassa quota (per evitare neve e ghiaccio). Nei periodi di maggior carico arrivo anche a completare 9 allenamenti a settimana, sorprendentemente riscopro che dentro di me sopravvive quel ragazzino che era stato nuotatore a livello agonistico, con il suo spirito di competizione ed una inalterata attitudine al sacrificio.

Rinuncio per un po’ alle distrazioni della vita “mondana” focalizzandomi sul grande obiettivo che mi sono prefissato, riesco ad allenarmi con grande dedizione, il mio corpo risponde fin da subito in maniera positiva e sento che la mia forma fisica cresce di settimana in settimana. Decido di non partecipare ad alcuna gara di Triathlon, a esclusione del Triathlon Olimpico di Milano all’Idroscalo (la mia gara di casa, dato che abito in prossimità del bacino milanese) e di alcuni trail tra la Lombardia e la Valle d’Aosta (per acquisire maggior dimestichezza con i sentieri di montagna e la gestione di dislivelli importanti). L’inverno passa rapidamente e a primavera, finalmente, posso tornare in strada a fare lunghe uscite in bici da corsa: fortunatamente ho tanti amici ciclisti, appassionati di lunghe distanze e ripide pendenze, ai quali posso aggregarmi spesso e sentire meno la fatica di certe giornate interminabili.

Le difficoltà

La principale difficoltà che mi sono trovato ad affrontare durante la preparazione di una distanza Ironman è proprio la gestione dei lunghi di corsa alternati a quelli in bici, un mix che mette a dura prova le gambe inficiando la brillantezza e compromettendone la performance, soprattutto perché spesso si concentrano nei weekend. Ma del resto, lo scopo dell’allenamento è uscire dalla propria zona di comfort e preparare il fisico ad affrontare tutte le insidie dell’endurance estrema. Ad aprile posso testare la mia condizione nel Triathlon Olimpico di Milano: i risultati dimostrano che tutto il lavoro svolto fino a quel momento ha dato i suoi frutti e per la prima volta entro nella top 20 generale e ottengo un 3 posto di categoria, chiudendo per la prima volta il 10.000 finale sotto i 40’.

Da lì in avanti vado acquisendo maggior sicurezza e riesco ad affrontare gli ultimi due mesi con grande entusiasmo, tuttavia le condizioni meteo a cavallo tra primavera ed estate si fanno davvero avverse e sono costretto a ridurre drasticamente i lunghi in bici e le sessioni di trail running in montagna. Non riesco a completare il chilometraggio preventivato e subentra una certa preoccupazione, perché mancano ormai poche settimane alla gara e non c’è modo di recuperare.

Ci siamo quasi…

Il mese di giugno serve per tirare le somme e recuperare le energie, ritrovare la lucidità necessaria e occuparsi degli aspetti pratici e organizzativi: una gara che coinvolge 3 discipline sportive, che può arrivare a durare anche 20 ore, con un percorso di oltre 220km e oltre 6.000D+, che parte dal Lago d’Iseo e arriva sulla cima del Passo Paradiso passando per Aprica, Mortirolo e Gavia, va pianificata in tutti i suoi aspetti e niente può essere lasciato al caso.

Con Sara, la mia ragazza, e il carissimo amico Corrado, che sarà anche il mio supporter ufficiale (obbligatorio per regolamento) nell’ultima parte di gara, organizziamo il viaggio, i pernottamenti e gli spostamenti, prepariamo i rifornimenti da portare ai ristori, i cambi e l’attrezzatura di cui avrò bisogno lungo il percorso. Una preparazione così meticolosa comporta lo sforzo di riuscire ad immaginare l’esperienza in ogni suo dettaglio e mi fa vivere in anticipo la gara decine di volte. Nella mia testa tutto diventa chiaro, il percorso si dipana e riesco a “vedere” chilometro dopo chilometro quello che dovrò affrontare, come dovrò alimentarmi e come dovrò vestirmi, addirittura quello che potrei pensare. Sarà una gara in cui il superfluo può diventare necessario, in cui le altitudini e le temperature alle quali si gareggia variano sensibilmente, in cui la stanchezza tenderà dei tranelli psicologici e il corpo avrà la tentazione di assecondarli. Devo essere pronto fisicamente, ma soprattutto mentalmente, solo così sarò in grado di affrontare qualsiasi difficoltà, imprevisto o condizione estrema che si presenterà.

Brixia Extreme Triathlon

5 Luglio 2019, una manciata di ore alla partenza. A Sulzano fa davvero caldo, ma poco importa, lo start è alle 04.00 del mattino e sicuramente non ci sarà alcun problema di temperatura. La vigilia di una gara è sempre veloce, un ripetersi di gesti rituali in un’atmosfera un po’ ovattata: si ritirano i pettorali, si prepara la bicicletta in zona cambio e si consegnano le sacche (ben 5!) che l’organizzazione farà recapitare ai vari ristori e alle zone cambio distribuite sul percorso.

Ultimi check, foto di rito, immancabile cena carbo loading ed è ora di andare a dormire, o meglio, a cercare di riposare il più possibile corpo e mente. La notte passa abbastanza serena, impossibile riuscire a dormire in maniera rilassata, ma a differenza di altre volte, la consapevolezza del lavoro svolto mi infonde una certa serenità: penso che non ho davvero nulla da perdere, che i mesi di allenamento che mi hanno portato fin qui sono stati sfruttati in maniera intelligente e al meglio delle mie possibilità.

Certo ci sono le variabili esterne – problemi alla bici, una caduta, una crisi di fame imprevista o un infortunio – ma questi sono fattori imprevedibili e, soprattutto, non controllabili. In ogni caso, non c’è più tempo per i pensieri: sono le 03:30, è una calda notte estiva e io siedo già sul traghetto che naviga in direzione Tavernola, sponda lombarda del Lago d’Iseo, solcando le stesse acque in cui mi immergerò a breve insieme agli altri 120 concorrenti.

Il viaggio in traghetto dura una quarantina di minuti (credo), surreali, immersi in un silenzio quasi totale interrotto solamente dallo sbattere delle onde che si infrangono sulla chiglia durante la navigazione e dalla musica che proviene dalla cabina di pilotaggio. Il lago è piatto, l’aria è piacevolmente tiepida, il buio quasi totale.

Nuoto

Attracchiamo e come un corpo unico, stretti nelle nostre mute scure, scendiamo sulla passerella. Il primo istinto è subito quello di “assaggiare” l’acqua, poi qualche movimento per aggiustare occhialini e cuffia, mentre i giudici, a bordo dei gommoni scorta, ci indicano la luce del faro da seguire per mantenere la rotta verso l’uscita dall’acqua che, da questa distanza, risulta un puntino giallo che si staglia all’orizzonte, a 4km sulla riva opposta. Un colpo di sirena dà il via alla gara. Confesso di non aver mai gareggiato di notte e, nonostante l’acqua sia un habitat sportivo a me naturale, mi corre un brivido lungo la schiena al pensiero della profondità invisibile che si cela sotto di me… Le prime bracciate sono un po’ contratte, cerco l’adattamento, sollevo la testa più del solito per essere sicuro di non perdere la rotta migliore e, una volta identificati i riferimenti luminosi da sfruttare per tenere la rotta (l’arrivo e la parte sud di Monte Isola), riesco a rilassarmi e in maniera quasi naturale trovo la cadenza giusta. In poco tempo capisco di essere da solo, impossibile vedere se vicino ci siano altri concorrenti, nonostante siamo tutti dotati di una boa galleggiante luminosa che serve ai gommoni d’appoggio per identificarci e mantenerci in sicurezza, dal pelo dell’acqua è praticamente impossibile vedere a pochi metri di distanza. Diversamente delle gare diurne, non si formano i classici trenini di nuotatori in scia e questo mi permette di essere tranquillo e procedere al mio ritmo senza interferenze: la scelta previdente di utilizzare occhialini con lenti trasparenti si rivela pienamente azzeccata, il comfort è totale e non ho alcun problema a tenere sotto controllo la rotta ogni volta che alzo la testa, in media ogni 8/10 bracciate.

Il Garmin al polso mi assiste fedelmente e, ogni 500mt, mi segnala con una vibrazione a che distanza mi trovo del percorso e il ritmo a cui sto procedendo. Metro dopo metro, bracciata dopo bracciata, quei puntini luminosi che delineano il paese di Sulzano si fanno più nitidi e il corretto punto di uscita dall’acqua inizia a prendere forma. Solamente quando il gommone dei Giudici mi si affianca illuminandomi con un faro, ho la certezza di essere totalmente da solo e mi viene il dubbio di essere anche in testa alla frazione nuoto: io sto davvero bene, è vero, ma mi sembra impossibile essere davanti a tutti. Cerco di rimanere concentrato, ma dopo circa 3000 metri inizio a sentire un po’ la stanchezza e il desiderio di uscire quanto prima dall’acqua. Intorno a me, piano piano, inizia ad albeggiare e mentre mi avvicino alla riva, con gli occhi intravedo i colori del giorno che sta per cominciare e sento i brividi per quanto stupendo sia essere li in quel momento, un’esperienza irripetibile e mistica. È in questo stato d’animo che tocco terra e muovo i primi passi fuori dall’acqua. Solo adesso ho la certezza di essere primo. Vedo Sara, li in prima fila, illuminata dai fuochi accesi al mio passaggio; il tempo di un bacio ed è già il momento di correre verso la zona cambio e passare dalla modalità nuotatore a quella di ciclista.

La bici

Corro velocemente a recuperare la sacca contenente il completo per pedalare: ho optato per nuotare con il costume tradizionale sotto la muta e di cambiarmi prima di salire in bici così da avere addosso vestiti asciutti e non sentire freddo nei primi km. La parte di gara più temibile sta per iniziare, perdo qualche minuto per il cambio, ma in una gara così lunga non è affatto un problema e, anzi, è molto meglio fare attenzione al comfort piuttosto che al tempo. Mentre do le prime pedalate mi rendo conto dell’impresa che ho appena compiuto, perché dopo 8’ il secondo concorrente non è ancora uscito dall’acqua. Non ho alcuna velleità di podio, desidero unicamente concludere questa gara tanto sognata, ma sono orgoglioso della prestazione nel nuoto e mi godo una lieve sensazione di soddisfazione.

I primi 80km in sella li affronto con tranquillità, trovo un ritmo che mi permette di non essere in affanno e di gestire al meglio le forze. La moto apripista però ad un certo punto, mi porta fuori dal percorso di gara di qualche km, perché purtroppo né io né il motociclista abbiamo notato il bivio corretto verso l’Aprica. Siamo costretti a tornare indietro, giusto in tempo per ricongiungerci col secondo e il terzo in classifica che nel frattempo hanno recuperato il distacco. Peccato aver sprecato così il mio vantaggio, ma questo fa parte dei famosi imprevisti incontrollabili, quindi… avanti senza voltarsi indietro!

La strada che mi porta verso il Mortirolo prima e sul Gavia poi è ancora lunga e, praticamente, tutta in salita: come da previsioni, non essendo io un grande scalatore, inizio a perdere qualche posizione e l’agonista che c’è in me mi supplica di spingere per non farmi superare, ma – fortunatamente – resto lucido e mantengo il ritmo prefissato senza bruciarmi. Decido di fermarmi ad ogni ristoro, per sgranchire le gambe e idratarmi bene; oltre a gel e maltodestrine, alterno coca cola e frutta secca per variare un po’ l’alimentazione.

Anche nelle sacche distribuite lungo il percorso, ho messo dei paninetti all’olio con formaggio e prosciutto: la frazione bici durerà poco meno di 10 ore, pertanto devo riuscire a fare in modo che la stanchezza non mi chiuda lo stomaco prima di aver messo da parte un po’ di carburante. La salita verso il Mortirolo è lunga, ma mai veramente dura e finisce abbastanza velocemente: scortato da un gruppo di amici che si erano posizionati sul percorso, inizio a scendere verso il paese di Monno dove mi aspetta Sara per il cambio borracce e per una RedBull ghiacciata; siamo circa al km 120, ne mancano ancora 50 di cui 17 di scalata verso i 2.700 mt della cima del passo Gavia, vera bestia nera della giornata, con i suoi 1300 mt D+ e i suoi strappi sopra il 15%.

La strada da Monno a Ponte di Legno serve per ritrovare la concentrazione e ricaricarsi, scorre veloce anche grazie ai tanti amatori incontrati lungo il percorso che, vedendo il pettorale di gara, mi incitano e mi sostengono. A Ponte di Legno la temperatura è piuttosto elevata, mi fermo al penultimo ristoro per recuperare un po’ di forze, soprattutto mentali, mentre mi raggiunge Sara che mi accompagnerà in bici fino in cima al Gavia. Pochi minuti e siamo di nuovo in sella, iniziamo a pedalare insieme e la sua freschezza le permette di farmi strada tornante dopo tornante quasi fino in cima, quando a poco meno di 3 km dalla vetta mi prende la prima, vera crisi: la stanchezza che prima riuscivo a gestire e tamponare, inizia a prendere il sopravvento e la fine della salita sembra non arrivare mai, voglio scendere dalla bici, voglio smettere di pedalare anche solo per qualche minuto, quindi devo costringermi a ricordare che se cedessi a quella debolezza, difficilmente riuscirei a risalire in sella. Sono nervoso, quindi chiedo a Sara di essere lasciato da solo per ritrovare la concentrazione e, quando inizio ad incrociare i primi, in testa alla corsa, che tornano indietro verso la fine del percorso bike, situato a Ponte di Legno, capisco di essere prossimo al giro di boa, quindi la mia agonia sta per finire. Gli ultimi metri sono davvero duri, però subentra la certezza di aver praticamente finito anche la seconda frazione e questo mi rincuora davvero molto.

I km passano lenti, ma arrivato in cima al Passo Gavia, sento un enorme sollievo, mi rendo conto finalmente del paesaggio stupendo che mi circonda, vedo la neve e rimango a bocca aperta pensando al periodo dell’anno in cui siamo. Quell’ultimo rifornimento e la maglia asciutta a maniche lunghe mi restituiscono una sensazione di benessere, sono pronto per lanciarmi in discesa verso la zona cambio. Affronto i tornanti con concentrazione, cerco di rilassare le gambe e godo di questa ritrovata energia, proiettato mentalmente all’ultima parte della gara, quei 40 km di trail che mi porteranno di nuovo in quota, verso il passo Paradiso. Sono di poco in vantaggio sul tempo preventivato e in classifica sono nei primi 20, mi sale l’entusiasmo e sento tornarmi le forze: incredibilmente, non vedo l’ora di cambiarmi e partire con la corsa. Quando scendo dalla bici a Valle sono passate circa 10 ore dalla partenza e il termometro si avvicina ai 35 gradi: mi cambio, scelgo un abbigliamento piuttosto leggero con pantaloncini, canottiera e camel-bag con acqua, sali e qualcosa da mangiare. I primi 20 km con 800 D+ compongono un anello che mi riporterà a ponte di Legno, dove mi aspetterà il mio accompagnatore, obbligatorio per tutti nella seconda parte di gara, fino all’arrivo.

La corsa

Con i primi passi le gambe sembrano girare bene, ma dopo circa 7km – invece che guadagnare in scioltezza – mi accorgo di non avere la possibilità di correre con agilità sui cambi di pendenza, troppo accentuati; la cosa peggiore, tuttavia, sono le discese e nei tratti in cui speravo di recuperare terreno, le gambe sono talmente poco elastiche che mi è praticamente impossibile provare anche solo ad accelerare. Mi sento davvero stanco, l’alta temperatura non aiuta anche se le numerose sorgenti d’acqua lungo il percorso mi permettono di rinfrescarmi spesso, ma arrivo comunque molto affaticato in piazza a Ponte di legno in circa 2h15. Qui trovo il mio compagno di squadra Corrado entusiasta e pronto per affrontare con me gli ultimi 20 km con 1600D+, desideroso di partire velocemente, mentre io ho bisogno di sedermi, di fare una pausa: come sul Gavia, devo attingere a tutte le risorse dentro di me per non cedere alla stanchezza.

Sono minuti di lotta interiore, ma questa volta giunge in soccorso una birra piccola che subito mi fa sentire rinato! Cambio le calze e mi cospargo i piedi già provati di vasellina per non rischiare che mi si formino delle vesciche. Un cenno agli amici, sguardi di complicità e pacche sulle spalle, si riparte. La dote fondamentale del mio accompagnatore è il buonumore: riesce a farmi ridere, a distrarmi e mi da coraggio per andare fino in fondo. Appena usciti dal paese, il percorso diventa duro, inerpicandosi per quelle che in inverno sono le piste da sci che scendono dal Passo del Tonale: interminabili rampe di erba e terra da percorrere col fiato sempre più corto, il caldo non accenna a diminuire, quando, all’improvviso, si alza un forte vento che in pochi minuti cambia radicalmente il meteo: minacciose nubi grigie si addensano nel cielo, azzurro terso fino ad un attimo prima e la temperatura, complice anche della quota guadagnata, inizia a scendere drasticamente, finché un impetuoso temporale estivo scarica la sua potenza su tutti i concorrenti: siamo a circa 10 km all’arrivo, di cui 7km di “vertical” dal Tonale al Passo Paradiso, con circa 800mt D+ ancora da affrontare.

Con grande rammarico e un po’ di rabbia, scopro che il mio supporter non ha con sé il mio abbigliamento tecnico termico come avevamo concordato, perché le indicazioni meteo verificate pochi minuti prima di incontrarci non facevano presagire un così brusco peggioramento, quindi aveva deciso di mandare tutta l’attrezzatura termica all’ultimo ristoro, prima dell’arrivo. La temperatura è scesa velocemente, siamo perciò costretti ad utilizzare delle protezioni di fortuna e a proteggerci dalla pioggia con dei sacchi neri della spazzatura presi lungo il percorso, ma la pioggia non accenna a diminuire e il vento soffia con forza. Arriviamo al Passo del Tonale con i primi sintomi di ipotermia e, come me, la maggior parte dei concorrenti ancora in gara arrivati fino a lì: fortunatamente la gara viene sospesa temporaneamente, quindi ho tempo di riprendermi bevendo thè caldo e coprendomi con tutto ciò che riesco a recuperare.

Nel gruppo che si è formato al cancello del Tonale, scatta una gara di solidarietà tra concorrenti per recuperare e scambiare pezzi di abbigliamento, con la promessa e l’auspicio di restituirci tutto all’arrivo della gara. Rimaniamo tutti fermi per circa 1 ora, tranne i primi concorrenti che erano riusciti a transitare prima del temporale. Le condizioni sono così avverse che l’Organizzazione valuta la sospensione definitiva della gara e io mi sento quasi sollevato all’idea di aver comunque finito di soffrire. Immediatamente dopo però, subentra la frustrazione all’idea di non vedere con i miei occhi l’arrivo e la parte più selvaggia del percorso, di arrivare in cima ad un ghiacciaio al tramonto, dopo essere stati in gara per oltre 15 ore e aver provato così tante emozioni diverse.

Appena un timido raggio di sole squarcia il nero delle nuvole, capiamo tutti che a breve ci avrebbero fatti ripartire e così accade, anche se sfortunatamente la classifica è stata appiattita e non verrà tenuto conto nel cronometraggio della sospensione della gara, ma questa gara è un po’ diversa dalle altre e la classifica finale non è un fattore determinante, tant’è vero che le premiazioni avverranno in ordine sparso e non di arrivo. Con l’ok dei Giudici, siamo alle battute finali, e mi dico che nulla potrà togliermi la soddisfazione di arrivare al traguardo. A a me e Corrado si unisce anche Sara per accompagnarci negli ultimi, durissimi km verso il traguardo. Procediamo a passo svelto, ma senza riuscire ad accennare passi di corsa veri e propri: le gambe, dopo tutta quella fatica e uno stop forzato di1h, sono durissime.

Mi tolgo gli strati in eccesso, riorganizzo lo zaino con l’aiuto dei miei accompagnatori, inizio a preparare la lampada frontale perché la luce del giorno sta lentamente lasciando posto ad un tramonto dai colori incredibili e presto farà di nuovo buio. Si continua a salire, i sentieri lasciano posto alle pietre, l’occhio cerca velocemente le bandierine incastrate tra i massi per segnare il percorso e i piedi trovano il loro ritmo: alzando lo sguardo possono vedere i concorrenti che mi precedono zigzagare sul fianco della montagna come delle piccole lucciole, per poi sparire dietro l’ultima curva, dove so che si trova il traguardo.

Mancano davvero poche decine di metri di dislivello, NIENTE rispetto a quello che già fatto, il Garmin decide di smettere di accompagnarmi e, consumata l’ultima briciola di batteria, si spegne a pochi km dall’arrivo. Il mio corpo è in una sorta di dimensione parallela, avanzo per inerzia e non riesco più a percepire nemmeno la fatica. Smetto di parlare e continuo a salire, mi sento stremato, ma inizio ad assaporare il gusto indescrivibile che ha la realizzazione del mio più grande sogno sportivo, sento l’euforia e sento entrare in circolo l’adrenalina. Gli ultimi passaggi sono sulla neve, a tratti mi devo aiutare con le mani, ogni tanto scivolo affannato sulle pietre, poi – attraversando qualche pozza di fango qua e là, arrivo all’ultima cima della montagna e qui mi si apre la vista: la Val Canonica sulla destra, una distesa di luci nel buio, e sulla sinistra l’arrivo al rifugio, un piccolo sentiero ripidissimo e maestoso, una striscia di tappeto blu illuminato a giorno.

Sono gli ultimi istanti, i miei accompagnatori mi lasciano spazio e io mi fermo, assaporo il silenzio, faccio un profondo respiro per fissare nella mente quell’istante e, senza dire nulla, inizio a salire gli ultimi metri verso il nastro del traguardo. Vorrei piangere per scaricare tutta l’adrenalina e la tensione accumulate in questi mesi mentre invece, inaspettatamente, sorrido e mi godo l’istante. E’ finita, ce l’ho fatta e ne sono tremendamente felice“.

La bio di Alberto

“Sono Alberto, ho 40 anni e sono un grande appassionato di sport. Da anni dedico gran parte del mio tempo libero a diverse attività soprattutto outdoor. “Nasco” come nuotatore, impegnando gran parte della mia adolescenza tra piscina e palestra, arrivando a partecipare a diverse edizioni dei campionati italiani, successivamente mi dedico all’attività di istruttore di nuoto, soprattutto con bambini con un’età compresa tra i 3 e i 6 anni alla loro prima esperienza in acqua. Mi avvicino poi, dopo i 20 anni, alla corsa su strada alla quale mi sono dedicato per diverso tempo correndo distanze dai 5000mt alla Maratona. La mia curiosità e voglia di avventura mi hanno poi portato inizialmente al ciclismo su strada sia con bici a Scatto fisso che con bici da strada e successivamente alla pratica del triathlon, unendo così tre discipline che amo per la loro diversità. Ho partecipato a gare nazionali ed internazionali su tutte le distanze, dallo sprint all’Ironman. Durante gli inverni mi sono dilettato sia con lo Snowboard che con la Mountain Bike e da qualche anno mi sono avvicinato anche al Trail Running. Lo scorso anno ho partecipato e concluso lo StoneBrixiaman, gara di extreme triathlon che si svolge principalmente su strade e sentieri di montagna con partenza dal lago di Iseo e arrivo al Passo Paradiso, a quota 2585 mt”.


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