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Scopriamo il cicloviaggio al femminile attraverso le parole di Rita Sozzi

Due chiacchiere con la Volpe a Pedali, esperta cicloviaggiatrice ci racconta le sue avventure

Scritto il
da Martina Tremolada

Si può viaggiare da una scrivania, un divano, un seggiolino di un autobus? Sì, ovunque siate in questo momento, leggendo quest’intervista potrete viaggiare nel tempo e nello spazio guidati dalle parole di una “professoressa di lettere seminomade che cerca la poesia nei libri e sulle strade del mondo”, così si definisce la Volpe a Pedali, al secolo Rita Sozzi.

Laureata in lettere antiche, viaggia in bici dal 2013 e fino ad ora ha pedalato la distanza che copre quasi tre volte il giro del globo terrestre. Durante le sue avventure è spinta dalla combinazione tra l’irrefrenabile curiosità tipicamente umana e la romantica follia che caratterizza i letterati.

Ora dovremmo dire qualcosa di simile a “pur essendo donna, non si è posta problemi e ha intrapreso viaggi in solitaria”, ma quella premessa stride davvero tanto con l’inclusività e la spontaneità dei cicloviaggiatori, e non solo. Allora, come se attraversare Paesi a suon di colpi di pedali, in solitaria e non, fosse normale come ordinare una margherita in pizzeria, abbiamo rivolto qualche domanda alla Volpe per farci raccontare di più.

Buona lettura, buon viaggio.


Intervista

Il tuo primo viaggio è stato Milano-Roma: cosa ti ha spinto a partire? Perché verso Roma e perché in bici?

“Mi ero avvicinata alla bici circa un anno prima dell’esordio da cicloviaggiatrice. Pedalavo verso l’università (che avevo iniziato da poco) per allontanarmi dall’alienazione quotidiana dei mezzi pubblici. Pedalavo per raggiungere il centro di Milano e per esplorare i dintorni nelle ore buche. I quartieri limitrofi all’ateneo hanno presto lasciato spazio a città sempre più distanti, seppure raggiungibili nel giro di una manciata di ore. Un weekend ho tentato un fallimentare esperimento: raggiungere Venezia e tornare in due giorni. Non ci sono riuscita, anche perché avevo una bici “cancello” e niente borse, solo lo zaino.

L’anno successivo, in Olanda, ho avuto la folgorazione: esistono borse per le bici! Ad Amsterdam ho comprato il mio primo paio e poi ho iniziato a pensare quale potesse essere la meta simbolica del primo vero viaggio a pedali. Non poteva che essere il nostro “caput mundi”: paradossalmente, pur studiando lettere antiche, non ero mai stata nella Città eterna. E poi si sa, tutte le strade portano a Roma. Quindi, perché la capitale? Perché era abbastanza vicina, non difficile da organizzare, senza shock culturali, e perché mi interessava dal punto di vista storico e culturale. Perché in bici? Perché mi stavo rendendo conto che è per me il mezzo più adatto ad esplorare gli orizzonti del mondo e i confini del proprio io, in movimento a ritmo del cuore che muove contemporaneamente all’esterno e all’interno”.

Dopo Roma, nel viaggio successivo ti sei diretta verso Porto e poi Istanbul, Atene e Mosca sono state le destinazioni delle tue avventure (sempre con partenza da casa, a Milano). La trama culturale mi sembra abbastanza evidente, ce la spieghi meglio?

“Le mie non sono imprese di natura sportiva. Per me viaggiare significa conoscere. Toccare con mano, nella realtà concreta, ciò che mi appassiona e che studio sui libri. La cultura sta nei volti e sulle strade, è scritta nella pietra e nella piega che prende la luce, nei profumi, nei sapori, nella musica della lingua.

L’avventura che mi ha portata a Porto ha una motivazione diversa dalle altre. C’è chi preferisce l’alba e chi il tramonto. Io appartengo alla seconda categoria, di quelli che sanno della finitudine e della fragilità, del panta rei, del carpe diem. Volevo vedere l’ultimo tramonto d’Europa, l’estremo confine del vecchio continente, quello oltre il quale c’è un oceano e poi il mondo nuovo.

Istanbul era inevitabile: capitale dell’impero bizantino, custode gelosa della tradizione greca anche quando Roma era già caduta nelle mani dei barbari. E in quel viaggio ho attraversato i Balcani, questa Europa che si sente al contempo centro e periferia, e porta ancora le cicatrici di una guerra atroce.

Di Atene c’è poco da dire: culla del logos, radice prima; in quel caso ho costeggiato la Penisola balcanica, sempre bevendo le scaglie di luce del mare nostrum. Sono passata in luoghi dell’anima come Zacinto e Itaca, Olimpia, Delfi…

Mosca è stato il primo viaggio in solitaria. Non poteva mancare la Terza Roma, dove tutta la cultura bizantina ha trovato nuovo terreno fertile quando anche Costantinopoli è caduta in mano ai Turchi. E poi ero incuriosita dall’Europa “oltre cortina”, con la profondissima cultura polacca e la Bielorussia che è già un altro mondo. Ho seguito, in questo caso, parte della Hitlerstrasse, la via seguita dalle truppe nazifasciste nell’Operazione Barbarossa, e parte della strada percorsa dalla Grande Armata napoleonica in ritirata”.

Poi sono arrivati i viaggi con la partenza lontana da casa: la Transiberiana e Transmongolica da Mosca a Ulan Batar (Mongolia), la Via della Seta da Teheran ad Almaty (Kazakistan), gli Stati Uniti da San Francisco a New York. Tre viaggi molto diversi tra loro, immagino, ma è possibile identificare tra i tre un aspetto in comune?

“Sono tutte e tre “autostrade” della storia, dei popoli, dei commerci, di incontri e scontri tra culture.

Transiberiana e Transmongolica sono state le vie percorse, da est a ovest, dal Gengis Khan, prima e, in senso contrario, dall’impero russo, poi URSS, nell’espansione verso il “Far East”, che ha comportato il genocidio di molti popoli nativi.

Lo stesso è avvenuto negli USA, ma in direzione opposta, dall’Atlantico al Pacifico. E sempre verso il Far West si sono mosse le masse di disperati in cerca di oro, prima, e di lavoro, poi, lungo la Route 66, che è stata la spina dorsale di un paese che si stava costruendo tra luci ed ombre, in un caleidoscopio di contraddizioni e meraviglia.

La Via della Seta parla da sola. In questa occasione sono partita perché volevo ripercorrere i passi di Marco Polo, scoprire l’Iran, dove pedalare, per una donna, è atto rivoluzionario, e tutti gli “-stan” dove statue del Buddha e di Lenin si mescolano ad abbondanti quantità di vodka e dittature assurde.

In questi tre viaggi mi sono fatta un’idea piuttosto completa dei due blocchi e delle due potenze che si sono confrontante per mezzo secolo, scrivendo la storia della seconda metà del Novecento”.

Nemmeno il Covid è riuscito a fermarti: dopo Milano-Capo Nord, nell’estate 2021 hai girato l’Italia e poi l’Islanda. Nel 2022 sei sbarcata in Sud America pedalando in Perù, dove sarà il prossimo viaggio?

“Messico! Da Cancun a La Paz (in Baja California) per circa 5000km attraverso siti archeologici, foreste, comunità native e deserti. Starò via poco più di due mesi, durante l’estate”.

Prima di partire per un viaggio quanto pianifichi? (strade, posti per dormire…) Per questo aspetto, c’è differenza tra quando viaggi da sola e in compagnia?

“Ho imparato, nel tempo, l’arte dell’improvvisazione, che è sinonimo di libertà. All’inizio, avendo poca esperienza e molti timori, trovavo sicurezza nel pianificare ogni dettaglio: la strada da percorre, i chilometri e il dislivello giornalieri, le strutture in cui fermarmi, se ce n’erano, e i luoghi in cui piantare la tenda, se necessario. Ma viaggiando ho imparato una lezione fondamentale: ben poco è sotto il nostro controllo, e gli imprevisti, felici o sfortunati, sono all’ordine del giorno.

Avere tutto pianificato nel dettaglio rischia di essere una gabbia che impedisce di godere appieno dei momenti. Quindi ora pianifico, prima di partire, ben poco: solo i luoghi che voglio assolutamente vedere e la linea più sensata che li unisce, per avere un’idea del kilometraggio e del dislivello totali, da dividere nei giorni a disposizione. Il resto si fa giorno per giorno, una volta in viaggio, anche perché solo in loco si hanno informazioni vere e utili per scegliere quale e quanta strada percorrere.

Che io sia sola o in compagnia, poco cambia nella pianificazione: con il mio attuale compagno di viaggio, Gigi Mondani, l’intesa è ormai tale da non richiedere particolari accorgimenti. Mi sento, semplicemente, più responsabilizzata perché so che se sbaglio paga anche lui”.

Hai affrontato viaggi in solitaria, come per esempio Milano-Mosca e Mosca-Ulan Bator che hai raccontato anche in tre libri. Ci sono state situazioni in cui ti sei sentita in pericolo perché donna da sola? Ci sono Paesi in cui è meglio non pedalare da sole?

“Onestamente non mi sono mai sentita in pericolo in quanto donna sola, anche perché ho sempre evitato di mettermi in contesti particolarmente rischiosi. Credo che sia merito di un mix di attenzione, fortuna e capacità di leggere in fretta le situazioni e reagire altrettanto in fretta.

I pericoli che ho corso sarebbero stati tali anche per un uomo.

Ci sono paesi nei quali la cultura e le tradizioni rendono complicato (diciamo così) un viaggio in solitaria, per una donna. Ne ho avuto prova in Iran: quando mi separavo, anche per brevi momenti, dal mio compagno di viaggio di allora, Raymond, attiravo spesso attenzioni poco gradevoli, soprattutto sulla strada e in contesti rurali o isolati. Nelle città, invece, il problema non si poneva”.

Durante i tuoi viaggi, in solitaria o in compagnia, ti è mai capitato di dover chiedere aiuto alle persone del posto? Come hanno reagito?

“Chiedere aiuto alle persone del posto è cosa assai frequente, soprattutto quando si è in ambienti estremi.

Nel deserto è necessario affidarsi a chi vive lì o è in transito per recuperare acqua; ad esempio in Iran abbiamo attraversato 800km di Dash-e Kavir, e in mezzo vi era solo una città spersa tra sabbia e roccia. Lo stesso è accaduto nel Mojave, in USA.

In Russia mi è capitato diverse volte di chiedere passaggi a sconosciuti automobilisti per problemi meccanici alla bici, in Mongolia mi sono persa e ho dormito con due anziani pastori nomadi…

E la reazione è sempre la stessa: di grande umanità, di grande altruismo. Il più delle volte non c’è nemmeno bisogno di chiedere, neanche di avere un problema. Sono le persone stesse ad offrire acqua, cibo, ospitalità. La vulgata vuole che “gli altri” siano pericolosi e ci si debba guardare dal fidarsi degli sconosciuti, “homo homini lupus”… Ma forse questa paura si lega a ciò che vediamo nello specchio”.

Hai attraversato deserti e spazi sconfinati in mezzo alla natura. Come ci si sente a pedalare per chilometri senza vedere costruzioni o persone? Quali sono i tuoi pensieri in quei momenti?

“Questi sono i momenti in cui riesco a “far vuoto” dentro di me e a riempirmi del “tutto” che sta intorno. Perdo la sensazione di avere un bordo, un confine, uno strato di pelle che mi separa dal resto, e percepisco l’unità profonda che lega tutto ciò che è, tutto ciò che è stato. In un filo d’erba riesco a percepire i secoli di vento e passi, nel mio battito il respiro del cosmo. E’ una sensazione quasi mistica, di estasi, letteralmente “ek-stasis”, uscire da sé e assumere il punto di vista del germoglio, della radice, del fruscio d’ali tra i rami e della goccia d’acqua che cade sulla pietra.

In Islanda, nell’interno dell’isola, dopo una settimana di totale assenza di presenza umana (escluse la pista e orme vecchie di chissà quanto tempo) ho avuto le allucinazioni: vedevo baracche, una tenda, un’auto, persone… Erano sempre e solo rocce. La mia mente si ingannava da sola. In altri luoghi, come sulle Ande, nei deserti, nella foresta amazzonica o nelle steppe sconfinate, ho avuto proprio la sensazione di essere piccola. Un niente. Una minuscola briciola di un meraviglioso, caotico, vivissimo mosaico”.

E, invece, quando arrivi in città, magari trafficate e inquinate, che sensazioni hai? Dedichi anche del tempo alla visita dei musei?

“La visita alle città, ai musei e ai luoghi di rilevanza storica, artistica e culturale è parte centrale dei miei viaggi. Per me conoscere un paese significa apprezzarne tutti gli aspetti. Terenzio diceva “homo sum, humani nihil a me alienum puto” (sono uomo, niente di ciò che è umano ritengo estraneo a me). Nel bene e nel male. Il traffico e l’inquinamento non mi spaventano (affronto le statali milanesi ogni giorno, ho attraversato in bici città come Istanbul, Mosca, Teheran, Lima, Los Angeles…), per quanto, alla lunga, diventino stressanti. Mi piace cogliere lo spirito dei luoghi anche urbani, attraversare i quartieri e rubare istanti di quotidianità a chi ci vive. Solo una città ha avuto la meglio sulla mia atarassia: New York. Risulta troppo per me. Troppo grande. Troppo veloce. Troppo complessa. Una delle ultime sere ho avuto un vero e proprio mental break down all’ennesimo punto in cui ci siamo persi e faticavamo a uscire dal groviglio disumano di strade. Poi nulla da dire su parchi, musei, grattacieli… Ma viverci, anche solo per qualche giorno, per me è follia”.

Ci racconti un aneddoto per tutti che spiega il motivo per cui continui a viaggiare in bicicletta?

“Potrei citarne a decine. Quasi ogni giorno succede qualcosa di incredibile, nei viaggi, che dà senso alla fatica, al rischio, alle difficoltà. Potrei citare i paesaggi incredibili, ciò che appreso su di me, le persone meravigliose che ho incontrato durante le mie avventure. Ma ora mi viene in mente il più recente, il più vivido nella memoria. Perù, estate 2022. Dopo esserci inerpicati su fino a Machu Picchu, siamo scesi nella valle dell’Ene, percorrendo un tratto di foresta amazzonica. Ci siamo imbattuti in diversi villaggi di nativi Asháninka, con i visi dipinti, gli abiti tradizionali e le collane di denti e piume. Per quanto noi fossimo ospiti poco graditi, e ci fosse il pericolo dei narcos e dei senderisti, per me quel momento rimane eterno, fuori dal tempo. Mi è parso di essere in un documentario, e non potevo credere di essere invece lì davvero, in carne ed ossa, in luoghi che mai avrei immaginato di poter vivere in prima persona. E’ questa l’alchimia, l’opera al bianco: rendere denso il tempo, riempire di significato ogni attimo. Trasformare i grani della clessidra da sabbia in oro”.


Possiamo seguire le avventure di Rita sui social FB “Una volpe a pedali” IG @volpe.a.pedali e Tiktok @volpe.a.pedali), leggendo il suo blog http://volpeapedali.blogspot.com/, il sito https://volpeapedali.wixsite.com/ritasozzi e i suoi libri:

  • “Ciao mamma! Vado a Mosca in bici. 3000Km in solitaria verso est”,
  • “Una bici per cammello. 5000Km in sella: dall’Iran all’Asia centrale, fra deserti, steppe e vette innevate”,
  • “Canto notturno di una ciclista errante per l’Asia. 6000km in solitaria pedalando lungo Transiberiana e Transmongolica”.


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