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Subacquea: cos’è e la storia

Intervista a Davide Schiantarelli di Salento Verticale

Alice Dell'Omo Scritto il
da Alice Dell'Omo

L'immersione subacquea è un'attività che prevede l'immersione completa del corpo umano in un ambiente liquido Il diving prevede l'utilizzo di un'attrezzatura all'avanguardia Le immersioni subacquee, riconoscono vari livelli di difficoltà e di esperienza

L’immersione subacquea è un’attività che prevede l’immersione completa del corpo umano in un ambiente liquido. Per questo è necessario avere la totale consapevolezza dell’ambiente in cui ci si trova e le capacità adeguate per affrontare il livello di difficoltà dell’immersione scelta. Affidiamoci all’esperienza di Davide Schiantarelli, di Salento Verticale, per iniziare a conoscere questo mondo affascinante.

Photo by Jacob Waldrop on Unsplash

Cos’è la subacquea

“L’immersione subacquea è un’attività che, al contrario del nuoto e dello snorkeling, prevede l’immersione completa del corpo umano in un ambiente liquido. La possibilità di esplorare l’ambiente subacqueo è una caratteristica che l’essere umano condivide con pochi altri mammiferi. Grazie all’ingegno dell’intelletto umano e oggi alla tecnologia e allo studio dei materiali, l’uomo può respirare sott’acqua e raggiungere profondità sempre più importanti. Le immersioni subacquee, sempre più alla portata di tutti, riconoscono vari livelli di difficoltà e di esperienza necessaria per affrontare, in totale sicurezza, ogni tipo di immersione. Le variabili, sott’acqua, sono diverse e mutevoli. Per questo è necessario avere, sia la totale consapevolezza dell’ambiente in cui ci si trova, sia le capacità adeguate per affrontare il livello di difficoltà dell’immersione scelta. Come già detto, ad oggi l’attività subacquea conosce una diffusione molto vasta ed è talvolta considerata attività alla portata di chiunque, perfino individui con gravi disabilità motorie. La diffusione dell’attività non può però mai prescindere dal rispetto delle norme di sicurezza, dalla conoscenza delle leggi fisiche e scientifiche che la governano e dalla conoscenza delle procedure di emergenza.”

La storia del diving

“Sin dall’antichità l’uomo ha cercato il modo di prolungare la sua permanenza sott’acqua. Risalenti al IX secolo a.c. le prime testimonianze visibili su bassorilievi assiri raffiguranti uomini che respirano da aria contenuta in anfore di terracotta a pochi metri sotto il livello del mare. Le prime immersioni furono infatti in apnea e legate a necessità alimentari, col tempo, e soprattutto in seguito ad esigenze di natura bellica, sono stati studiati specifici strumenti e nuove tecniche che permettessero all’uomo di prolungare la permanenza sott’acqua. Solo nella seconda metà del XVI secolo la tecnologia permetteva ai palombari, grazie a grosse campane di vetro tenute sommerse tramite rudimentali sistemi di zavorra. Per molto altro tempo si narrerà di immersioni ma la prima registrata con certezza si ha solamente il 4 Agosto 1913 quando il comandante della nave Regina Margherita riporta sul diario di bordo in modo dettagliato delle gesta del greco Gheorghios Haggi Satti, un uomo esile che con un sistema di zavorra scendeva fino a -80 metri per raccogliere le spugne.  Si parla però ancora di apnea e non viene menzionato nessun sistema di fornitura d’aria; è solamente verso la fine del XVIII secolo che vengono costruiti i primi sistemi a vapore di pompaggio dell’aria, utilizzati dapprima nelle miniere per poi essere impiegati anche dai palombari. Verso la fine del 1700 il medico Alphonse Gal compiva i primi studi sulle malattie da decompressione per verificare gli effetti della pressione sul corpo umano. Pochi decenni dopo i medici Pol e Wattelle stabilirono che quando i minatori venivano fatti risalire, e quindi sottoposti a pressioni inferiori, manifestavano dolori strazianti che li portavano anche alla morte mentre il rimandarli in profondità sentivano benefici momentanei. Poco dopo si sviluppò un nuovo apparato di respirazione a circuito chiuso composto da una maschera collegata ad un sacco dorsale contenente calce sodata che permetteva di prolungare il tempo di immersione. Nel frattempo la Marina Britannica nel 1830 fondava la prima scuola di immersione. Nel 1875 Paul Bert, studiando la causa delle malattie dei minatori arrivò alla conclusione che l’azoto pressurizzato rilascia delle microbolle quando questa diminuisce. Fu solo l’inizio di una serie di ricerche sovvenzionate dalla Royal Navy che portarono a stabilire il limite di azoto tollerabile dal corpo umano. Queste informazioni vennero raccolte nelle prime tabelle di decompressione. Le tabelle inaugurarono un periodo di ricerca in materia di sicurezza dell’immersione e nuovi sviluppi per l’attrezzatura. Fu un crescendo di scoperte, migliorie e invenzioni che permise presto all’uomo di rimanere sott’acqua in condizioni più agevoli e con pericoli sempre minori.”


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