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Erwin Stricker anniversary

Scritto il
da Redazione outdoortest.it

Oggi, 28 settembre, siamo in molti a ricordare la scomparsa di Erwin. Familiari, amici, partner di lavoro. Possiamo dire che in ogni parte del globo c'è qualcuno, nel mondo dello sci, che non può fare a meno di pensare a lui e sentirne la mancanza. Vale anche per me, ma vorrei trasformare questa ricorrenza in qualcosa che a Erwin piacesse, che facesse rumore, che scuotesse le pigre abitudini del nostro sistema "sci", immobile e a corto di idee, da qualunque punto di vista lo si osservi.

A Erwin piaceva la polemica. Vale a dire che amava affermare con forza le cose in cui credeva, battersi per difenderle, sostenerle, talvolta imporle. Non era sempre facile discutere con lui. A volte dovevi scegliere se scendere sullo stesso terreno e combattere, oppure incassare, anche se non del tutto convinti. Il bello, però, erano due cose: aveva spesso ragione, e, anche se gli costava molto e accadeva in ritardo, sapeva riconoscere quando aveva torto. In ogni caso guardava e “vedeva” sempre lontano, ben oltre il proprio orticello e si innervosiva se chi gli stava intorno aveva la tendenza ad abbassare lo sguardo. Erwin non le ha mai mandate a dire a nessuno, ci ha sempre pensato di persona e a suo modo. Indifferentemente se l’interlocutore fosse conosciuto, estraneo, Vip o “peone”, gli si rivolgeva direttamente spiattellandogli in faccia esattamente quello che pensava con la forza combinata della sua parlantina e del linguaggio del suo corpo, massiccio ed energico, come ai tempi della Valanga.

E’ circa il 1995 o 96, sono in viaggio in Olanda a curiosare tra un indoor ski center e l’altro, squilla il telefono: “Sono Erwin Stricker, cosa stai facendo li?”. Wow, penso, è proprio lui, uno dei miei idoli di quando, da ragazzino, vivevo di riflesso delle gesta dei mitici azzurri dello sci. Così l’ho conosciuto, senza preamboli ne’ presentazioni, diretto al punto. Poi, negli anni successivi, i momenti di incontro e di condivisione di esperienze sono stati continui e numerosi e, per me, altamente istruttivi. Posso affermare con assoluta certezza che da allora fino all’oggi di tre anni fa, Erwin ha rappresentato più che il filo rosso dell’innovazione nel panorama asfittico dello sci nostrano, un filo “scoperto” ad alto voltaggio, capace di stimolare, spesso scioccare, ben più di un ambiente dell’establishment consolidato. Nessuna ipocrita riverenza nei confronti di associazioni, aziende o personaggi. Solo idee, visioni, azioni frutto della sua inesauribile passione per l’invenzione, il nuovo, il futuribile. Materiale prezioso scaricato in quantità industriale ma, talvolta, sul pubblico sbagliato, sordo, apatico e non raramente invidioso.

Di Erwin si è detto e scritto tutto ma a me piace ritornare su due grandi filoni, due terreni da lui percorsi e segnati che hanno scosso dalle fondamenta il microcosmo dello sci italiano. L’invenzione del noleggio di qualità, l’identificazione della Cina come soggetto sciistico. La nascita di Rentandgo (Rent a Sport, prima) è stata una scommessa che tutti i dirigenti e manager delle aziende italiane dello sci si sono affrettati a stroncare. Ho ricordi personali di personaggi, ancor oggi al timone di quel che resta di quelle realtà, pronti ad affermare che “il noleggio in Italia non prenderà mai piede!”. I fatti, come noto, hanno dimostrato l’esatto contrario e, anzi, sono andati al di la di ogni immaginazione. Tant’è che la quota di acquisto di sci odierna da parte del comparto noleggio, è parte cospicua (e in crescita) dell’intero ammontare (costantemente in calo) di paia vendute ogni anno in Italia. Vale a dire che, senza l’invenzione di Erwin e il relativo impulso all’intero settore del noleggio, oggi le aziende importatrici chiuderebbero, o sarebbero già chiuse da tempo.
L’azione pionieristica di Stricker verso la Cina ha, secondo me, un valore ancor più elevato. In tempi non sospetti, quando il “Celeste Impero” era del tutto sconosciuto e indifferente agli addetti ai lavori, lui ha deciso di andare a vedere. Folgorato dal potenziale di quell’enorme paese che stava timidamente lasciandosi affascinare dallo sci, è tornato a casa con un furore eccezionale, per scuotere ancora una volta le coscienze anestetizzate degli operatori e convincere i più rapidi a risvegliarsi dell’impellente necessità di agire, schiodarsi dalle scrivanie e correre a toccare con mano.

Da tre anni a questa parte Erwin non c’è più, e il senso di vuoto è forte. Mancano il rumore, il movimento, la sorpresa. Mi guardo intorno, ma all’orizzonte non vedo nessuno che somigli a lui. E mi manca.

 


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