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Ancora incertezze sul futuro dei Rifugi

Un' indagine per capire qualcosa in più sul futuro dei rifugi e l’intervista di Hervé Barmasse al presidente del CAI Vincenzo Torti

Letizia Scritto il
da Letizia Ortalli

Siamo sempre più vicini alla tanto attesa fase 2, la fase di rinascita per gli sportivi che pian piano potranno tornare a praticare le bramate attività outdoor, tra cui l’andare in montagna nelle sue declinazioni e da qui nasce spontanea una riflessione sul futuro dei rifugi, i veri presidi della montagna.

Da quanto riportato dalla nuova bozza del DPCM del 26 aprile, dal 4 maggio, potremmo tornare a praticare attività sportiva all’aperto, anche a distanza dell’abitazione, non è ancora chiaro però se si potrà uscire o meno dal proprio comune. Ad ogni modo, ci sarà sicuramente qualcuno che trovandosi in prossimità di percorsi o sentieri potrà tornare a camminare.

Ma se l’uomo può tornare a frequentare la montagna, quale sarà la sorte dei primari punti di appoggio: i rifugi? Si ha uno spiraglio di apertura delle attività di ristorazione dal primo di giugno, è un’ ipotesi plausibile anche per loro?

Abbiamo fatto un giro di telefonate a gestori ed amici che si trovano ad affrontare il problema in prima persona, ed il sentimento è quello di profonda incertezza. Tanto si è scritto sulle principali testate nazionali, tra il Corriere, la Gazzetta dello Sport, Repubblica; dichiarazioni contrastanti sono pervenute dai sommi vertici, tra CAI, Assorifugi, SAT, che in realtà a nulla hanno portato ed i rifugisti sono ancora in attesa di risposte. 

Ci aspettavamo che la riapertura della pratica sportiva all’aperto procedesse di pari passo con le strutture di supporto ed emergenza che la montagna offre, ma per il momento non è così e chi andrà in montagna si dovrà organizzare. Chiara è comunque la volontà da parte dei rifugisti di voler ripartire, nel rispetto delle regole, che potrebbe però portare a notevoli difficoltà.

Rifugio Pizzini

Claudio Compagnoni del Rifugio Pizzini nel gruppo dell’ Ortles Cevedale fa risaltare delle criticità: “Abbiamo lavorato 15 giorni per poter riaprire il rifugio a fine febbraio, ci siamo organizzati con la provviste e i dipendenti. Siamo riusciti a tenere aperto tre giorni il 6, 7, 8 marzo e poi abbiamo subito chiuso. Vogliamo sicuramente ripartire e siamo disposti a lavorare anche a metà della capacità e se così fosse ci organizzeremo con il personale di conseguenza. Un dubbio mi sorge sulla clientela però, noi lavoriamo moltissimo con gli stranieri e bisognerà anche capire se le persone potranno muoversi tra i confini. Finchè non abbiamo delle linee guida su come muoverci non possiamo programmare nulla, siamo in attesa.”

Mattia Tettamanzi, gestore dei rifugi Rosalba e Brioschi nelle Grigne sottolinea la profonda situazione di precarietà: “Purtroppo la situazione è ancora incerta. L’intenzione e la voglia di ripartire ci sono, impegnandoci il più possibile a seguire le direttive che arriveranno, certo è che pensare di lavorare a capienza ridotta potrebbe essere un problema. Si parla di una ripartenza per i primi di giugno, ma nulla è ancora certo”.

Rifugio Rosalba Grignetta

Pensiamo all’eventuale situazione in cui il rifugista si potrebbe trovare a non poter accettare ospiti (per via del distanziamento sociale) in caso di brutto tempo, dopo una vita educato al rispetto del regolamento del CAI:

“Il Gestore deve ricordare che il rifugio del CAI è la casa degli alpinisti; sappia dunque renderla ospitale ed accogliente, sia premuroso ed imparziale con tutti.”

Un regolamento fatto di parole materne che invitano alla premura e all’accoglienza nei confronti degli ospiti, ideali che per un pò dovranno essere sostituiti da un “regolamento di emergenza” sicuramente più crudo e separatista.

E’ una questione davvero spinosa, che ci auguriamo si possa risolvere in fretta. Se così non fosse, gli escursionisti, viziati da anni di rifugi con menù degni di veri e propri ristoranti, dovranno imparare a vivere la montagna in autonomia. Cosa non nuova per alcuni, ma non per tutti. Ci si dovrà organizzare in maniera differente, portando in spalla tutto ciò che è necessario per passare fuori la giornata, ricordandosi bene che non ci sono più i servizi di prima ed i propri rifiuti dovranno essere portati a casa, lasciando l’ambiente meglio di come lo si è trovato. Sarà possibile?

il futuro dei rifugi

Recentemente abbiamo assistito all’ intervista che Hervé Barmasse (il 26/04/20), sul suo profilo Instagram, ha fatto al presidente del CAI Vincenzo Torti, in cui è andato ad indagare su quale sarà il futuro dei rifugi e della montagna. Un buono spunto di riflessione di cui vogliamo sottolineare le parti più salienti:

 

La montagna è un luogo che per sua natura offre già il distanziamento sociale. Questa situazione porterà ad una nuova occasione per avvicinarsi al mondo della montagna?

 

“Certamente, come sempre accade nelle situazioni di difficoltà e criticità ci è data la possibilità di cogliere un’occasione e noi intendiamo farlo. Il messaggio che vogliamo diffondere va nella linea che hai indicato: la montagna offre distanziamento fisico naturale, gli spazi sono già aperti.

Dobbiamo però considerare alcuni limiti, intanto ad oggi non sappiamo ancora quanto sarà consentito muoversi e tornare in ambiente. Ci auspichiamo che rispettando il distanziamento sociale, sia possibile ritornare sui sentieri.

Il secondo aspetto da non sottovalutare è il fatto di muoversi con le dovute attenzioni: dovremmo essere altruisti e attenti a non andare a metterci in pericolo. Non dobbiamo andare a rischiare la nostra vita per rispetto del personale sanitario che abbiamo applaudito e che non dobbiamo dimenticare”. (sottolinea Hervé Barmasse)

 

Ci possiamo auspicare una riscoperta delle nostre montagne e di un turismo di prossimità?

 

“E’ esattamente questo il messaggio che il CAI vuole trasmettere in maniera più ampia possibile ci si è posta davanti una nuova occasione di guardare la montagna e di riscoprirla.

Guardiamo alla stagione con fiducia, ben sapendo che l’uomo ha bisogno di tornare in montagna, facendo però una doverosa differenziazione del territorio. E questo momento è l’occasione giusta per riscoprire i migliaia di chilometri di sentieri e percorsi che offre il nostro territorio, nella speranza che non ci sia più la rincorsa alle montagne più blasonate, ma una riscoperta delle aree più prossime.

Stiamo cercando di raccordarci con le Guide Alpine per trovare un modo comune di approcciare le attività in montagna con doverosa prudenza, e la capacità di avere uno sguardo nuovo per riscoprire la montagna in questo periodo, cercando quindi di evitare sovrapposizioni che potrebbero creare dei limiti.”

rifugio Azzoni Resegone

Qual’è il futuro dei rifugi? A quali soluzioni state pensando per la riapertura?

 

“Il rifugio è il presidio culturale ed emergenziale della nostra montagna. In questi mesi, la commissione rifugi, assieme ad una commissione medica, e per la tutela del ambiente montano si sono accordati per produrre e mettere a disposizione in tempi brevissimi dei kit per i nostri 327 rifugi ed anche per quelli che non sono di proprietà del CAI.

Il kit dovrebbe contenere un saturimetro, un termometro a distanza, ma sopratutto uno strumento di sanificazione. E’ un progetto che si trova ad uno studio avanzato che riceverà validazioni e certificazioni nel più breve tempo possibile e che ci auguriamo di distribuire in maniera gratuita, per quanto ci sarà possibile, come riprova di voler iniziare a riaprire.

Sulla questione tende volevo fare una precisazione, la nostra idea non è quella di istituire campeggi a cielo aperto in prossimità dei rifugi. Ma se proprio non fosse possibile dormire all’interno delle camerate (non adeguate alle nuove normative), possiamo consigliare di dormire in tende personali e di usufruire del rifugio per i suoi servizi, di ristorazione, accoglienza ed igienici.

Abbiamo inoltre istituito un fondo a favore delle sezioni, anche per i rifugi proprietari, che in qualche modo possa fare da compensazione, qualora il rifugista si dovesse ritrovare a dover chiedere agevolazioni come ad esempio nel pagamento del canone di affitto.”

 

Si è parlato molto del fatto di non potersi spostare da una nazione all’altra, ma molti rifugi si trovano sulla linea di confine, come potrebbero essere gestiti gli spostamenti in quota?

 

Le montagne che un tempo venivano definite la cerniera delle alpi, non possono e non devono diventare dei confini oggi. Ci adopereremo su tutti i livelli per far si che nei provvedimenti che verranno attuati, le montagne continuino ad unire e non a dividere.

E’ un impegno che vogliamo prendere in maniera concreta, assieme agli omologhi CAI stranieri, con i quali siamo uniti in un’associazione l’EUMA. A breve ci sarà un incontro a livello europeo per considerare le cime delle montagne come un territorio libero per poter circolare.”


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