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Racconti sportivi: escursione sullo Spigolo del Glemine

A cura di Andrea Coden, la sua prima escursione alpinistica dopo la fine della quarantena da Covid-19

Alice Dell'Omo Scritto il
da Alice Dell'Omo

Per la rubrica Racconti sportivi di outdoortest.it vi proponiamo questo bell’articolo, a cura dell’aspirante tester Andrea Coden, che narra di un’escursione sullo Spigolo del Glemine.

“La voglia di rivedere le montagne e toccare la roccia è tanta.

Dopo uno studio attento, io ed i miei 3 compagni di scalata, Francesco, Andrea e Freya, decidiamo di affrontare un grande classico (forse solo per noi) delle Prealpi Giulie: la via “Spigolo del Glemine”, situata dietro la splendida cittadina di Gemona, in provincia di Udine.

Dieci tiri di puro alpinismo, con uno di sviluppo di circa 330 m ed un dislivello di circa 250 m.

L’attrezzatura necessaria è quella base da multitiro: caschetto, imbrago, mezze corde, scarpette da arrampicata, daisychain, una miriade di moschettoni a ghiera e cordini in kevlar, rinvii, fettucce, nuts, friends, discensori vari, tricam e l’indispensabile buonsenso.

Ritrovo alle ore 7:00 e, dopo aver caricato i bagagliai delle automobili, si parte alla volta del “Spìgul”.

Giunti a Gemona, nei pressi del Duomo (crollato durante il terremoto del 1976 ed, oggi, perfettamente ristrutturato), raggiungiamo facilmente l’attacco della via seguendo un sentiero ben segnato nel piccolo bosco dietro il caseggiato: la consistenza e l’odore della roccia sono un toccasana dopo 2 mesi di “galera” forzata in casa.

Io, Freya e Francesco all’attacco della via

Esclamata la frase di rito “Pian e ben”, attacchiamo il primo tira della via: a parte la roccia un po’ umida, qualche cespuglio terroso, rami e fronde che graffiano le mani, non ci si presenta alcuna difficoltà nel salire i primi 25 metri.

Andrea lungo il primo tiro

Lo stesso dicasi per il 2 ed il 3 tiro (70 m totali), lungo i quali si risalgono un diedro e un semplice canale.

La prima vera difficoltà si incontra al quarto tiro: una splendida placca liscia, ufficialmente di grado IV+, che, però, visto “l’unto” provocato dalle numerose salite, può essere ribattezzato in un V pieno.

Pur essendo spittata, sale l’adrenalina.

A metà della placca, la scarpetta di un nostro compagno di cordata scivola, ma fortunatamente le dita reggono; lo stesso deciderà, poi, di spostarsi verso destra, dove la roccia offre più appigli ed appoggi e raggiungerà la sosta successiva.

Essendo la prima via dell’anno e volendo conquistarne altre, io ed il mio compagno di cordata, Francesco, decidiamo, invece, di deviare verso sinistra (rispetto alla placca) per risalire un magnifico tratto di roccia che offre numerose possibilità di protezione: le abbondanti “clessidre” nonché fessure mi permettono di utilizzare cordini, friends e tricam.

Questa è, per me, l’essenza dell’alpinismo: saper individuare e sfruttare al meglio quello che la roccia ti offre per proteggere l’avanzata.

Adoro, in particolare, incastrare un friend od un tricam nella parete e controllarne la tenuta tirando con forza verso l’esterno.

Mentalmente è una spinta incredibile per tutti gli arrampicatori, forse escluso Alex Honnold.

Ad ogni tiro, con il secondo di cordata, che deve recuperare tutto il materiale prima della sosta, ci scambiamo opinioni sulle protezioni usate; non mancano mai commenti ironici del tipo: “quel friend non avrebbe tenuto neanche uno starnuto”.

Arrivati alla sosta posta sotto al 6° tiro (la nostra deviazione ha inglobato due tiri in uno da circa 50 m), ci assicuriamo tutti con daisychain od un nodo barcaiolo, ci fermiamo per bere un po’ d’acqua e farci qualche foto.

La sosta sotto al 6° tiro, le due cordate al completo

Tra risate ed arrampicata, sono già trascorse due ore di puro divertimento: la quarantena sembra non esserci mai stata.

Preparo il discensore (reverso) per fare sicura, Francesco aggancia il falso rinvio e risale un canale per 30 m dove, poi, dovrebbe trovare la sosta successiva per farmi sicura; prosegue, invece, per altri 30 m ed arriva diretto alla fine del 7° tiro sfruttando un cordino su di un piccolo albero che spunta solitario tra le rocce.

L’ottavo tiro, lungo circa 60 m, è quello più lungo e semplice: passaggi di secondo grado lungo tutto lo spigolo roccioso con un vasto panorama su Gemona.

La roccia è solida ed, ora, perfettamente asciutta e scaldata dal sole pungente; soffia una leggera brezza che rinfresca le membra, ma la sete si fa sentire.

La sosta dopo l’ottavo tiro, sullo sfondo il centro di Gemona

Il penultimo tiro prevede il superamento di un camino un po’ liscio (valutato IV+), ma riesco a scorgere e memorizzare le movenze effettuate dalla cordata che ci precede e, quindi, mi sento tranquillo.

Come in tutte le vie di alpinismo, però, la visuale dal basso di un passaggio particolare è sempre ingannevole.

Giunto in prossimità del camino, mi accorgo che la roccia è estremamente liscia, gli appigli per le mani scarseggiano e l’ultimo breve tratto del camino è strapiombante; salgo i primi 3-4 m senza alcuna difficoltà e, poi, raggiungo il passaggio chiave.

Il respiro si fa più affannoso mentre studio la conformazione rocciosa.

Riesco a posizionare il piede destro su una piccola venatura di roccia posizionata sulla parete destra del camino, mi alzo di circa 50 cm ed appoggio la mano sinistra sulla parete opposta per agganciare, con la mano destra, l’agognato rinvio subito sotto l’uscita del camino.

Sono in equilibrio precario con il piede sinistro che, praticamente, è in aderenza sulla pietra levigata dalle intemperie.

Il tutto mentre Francesco, che mi sta facendo sicura, mi urla ironico: “Se cadi, salto direttamente sopra il camino”.

Non è troppo lontano dalla realtà visto che sfioro il quintale di peso: non certo un fisico adatto all’arrampicata, ma pane e salame, in tutte le case del Friuli, sono una religione che io pratico con osservanza.

Comunque, infilato il rinvio, sento la sicurezza scorrermi lungo le braccia tipo Popeye quando mangia gli spinaci e, con un ultimo sforzo, emergo trionfante dal camino.

In cima tutti e quattro

Arrivato alla sosta, Andrea (che mi ha preceduto) mi chiede come è stato il passaggio ed io, mentendo spudoratamente, rispondo “una boiata”.

Mi assicuro all’anello di sosta, urlo “molla tutto” al vento (in realtà a Francesco), recupero la corda, preparo la sicura dall’alto per il mio compagno di cordata e questi ci raggiunge dopo pochi minuti.

L’ultimo tiro, il decimo, si inerpica per una parete di circa 25 m costellata di magnifiche placchette lavorate che seguono una fessura in cui abbondano le clessidre.

Mi godo la salita da secondo ed in un battibaleno poggio il piede in cima.

La croce ferrosa si erge robusta su un cucuzzolo di pietra dal quale ci scattiamo la foto di rito per la quale Francesco ha portato con se un cimelio storico particolare.

“Pian e ben” si arriva dappertutto”.

Andrea Coden

Andrea si presenta così: “da sempre sportivo, pratico sin dalla giovane età diversi tipi di attività all’aria aperta quali calcio, pallacanestro, nuoto e tennis, ma il vero piacere deriva dagli sport di montagna ai quali mi avvicino grazie ai lunghi soggiorni estivi ed invernali presso la casa natale paterna nel comune di Claut (provincia di Pordenone)”.


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