Ogni specialità verticale ha le sue regole: giochi diversi – l’alpinismo, l’arrampicata in ambiente o quella sportiva, il bouldering – hanno regole diverse. Semplificando al massimo: al diminuire delle dimensioni del terreno di gioco – da pareti alte quattro chilometri a massi di un paio di metri – le regole diventano sempre più severe, fino all’eliminazione di qualsiasi compromesso.
Così nel bouldering è bandita persino la corda: il gioco vale soltanto con scarpette (anche se c’è chi non le usa e preferisce i piedi nudi), magnesite (senza lasciare imbrattata la roccia) e crash pad (una concessione relativamente recente).
Da Fontainebleau a John Gill
Il bouldering è molto più antico di quanto si potrebbe pensare: basti dire che uno dei suoi “santuari”, la foresta di Fontainebleau nei pressi di Parigi, era frequentato già alla fine dell’Ottocento.
Nel 1924 fu fondato il “Groupe de Bleau” – i famosi “Bleausards” – che negli anni Trenta ebbe il suo esponente di spicco in Pierre Allain. Il primo boulderista tout court, considerato da molti il padre della disciplina, è stato però John Gill: americano, classe 1937, ginnasta e matematico, si concentrò esclusivamente sulla scalata dei massi e fu il primo, attorno al 1955, ad utilizzare il gesso delle palestre per migliorare l’aderenza delle mani sulla roccia.
Solitari scalano in compagnia
Allora nessuno poteva immaginare il successo a cui era destinato il bouldering. I riflettori erano puntati altrove, sui colossi dell’Himalaya e del Karakorum, e John Gill era una mosca bianca: un visionario anticipatore, un atleta straordinario per il quale il bouldering era anche una sorta di “meditazione in movimento”.
Ma oggi tutto è diverso e moltissimi guardano le montagne dal basso e sognano sui massi ai loro piedi: blocchi lisci e strapiombanti, quasi elefanti di granito che popolano valli dove un tempo si passava per salire verso pareti e cime. Oggi i giovani si fermano, piazzano i loro crash pad sotto il blocco da superare e tentano e ritentano fino alla riuscita o all’esaurimento delle forze.
Ciascuno per sé, contando soltanto sulle proprie forze, e tutti in compagnia, incitandosi l’un l’altro perché questa è la natura del bouldering: non conquista ma “Gioia”, come non a caso si chiama uno dei passaggi più belli e difficili del mondo.
La linea di magnesite Chalkemi
Avete mai pensato a quanto conta la magnesite in arrampicata? In molte situazioni fa davvero la differenza, come sa bene chi scala al limite e deve scegliere ogni volta cosa mettere sulle mani: è una vera alchimia per avere sempre il massimo grip.
La linea “Chalkemy” – che sta proprio per “Chalk” + “Alchemy” – è la risposta di C.A.M.P a una delle esigenze più sentite dai climber.
La Velvet Chalk (polvere fine), la Chunky Chalk (polvere grezza), i Block Chalk (panetti), le Chalk Pouch e Re-Chalk (pallina normale e ricaricabile) e la Liquid Chalk (magnesite liquida) fanno di “Chalkemy” la gamma completa che soddisfa ogni necessità e preferenza. La Liquid Chalk è disponibile anche con l’aggiunta di colofonia (Rosin): una resina naturale ricavata dagli alberi che garantisce un grip eccezionale.
Per tutta la linea Camp “Chalkemy” cliccare qui