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Sai cosa ti metti in testa?

Un viaggio nel microcosmo Mips per scoprire come nasce la vera prevenzione in fatto di caschi da sci e da bici.

alfredo tradati Scritto il
da Alfredo Tradati

Guidereste sulla neve senza gomme invernali? Andreste in bicicletta senza freni? In moto senza casco? In parete senza imbrago? Ma quando sciate in pista o pedalate sulla vostra bicicletta, il casco lo indossate, oppure lo considerate un optional?

Che domanda, direte. Certo che si! Eppoi in Italia siamo all’avanguardia, abbiamo una legge apposita (n. 363/03 del 1° gennaio 2005) che obbliga tutti i bambini e i ragazzi sciatori fino ai 14 anni ad utilizzarlo (ma non c’è nulla di simile per il ciclismo) e da qui, un po’ per dare l’esempio, un po’ per imitazione, anche gli adulti sempre più spesso si vedono in pista equipaggiati a dovere. O perlomeno sembrano tali e credono di esserlo.

Il dubbio è legittimo, poiché il “parco caschi” che si nota in giro non sembra essere in gran forma. Roba vecchia, usata, economica perlopiù, passata di testa in testa (in famiglia o nel noleggio), segno di una generalizzata sottovalutazione della sua funzione e importanza in termini di prevenzione. Quasi a semplificare dicendo: il casco ce l’ho, ho fatto il mio dovere, tutto il resto (…se davvero funziona!), è compito di chi li costruisce e li vende.

Per dimostravi quanto fuorviante e rischiosa sia questa convinzione siano andati in Svezia, a Täby, vicino a Stoccolma, dove il senso per la sicurezza e la prevenzione sono di casa (vedi Volvo), ad incontrare due studiosi che stanno lavorando alacremente per proteggere il cervello degli sportivi, compreso il nostro, con il sistema MIPS.

Scenario ribaltato

In un clima di insolita primavera, a fine febbraio, Outdoortest è stato invitato a varcare le soglie dei laboratori di eccellenza di MIPS, il marchio svedese che garantisce i massimi standard di sicurezza ad oltre 20 produttori di caschi da sci e di bicicletta nel mondo, per un viaggio alle radici del concetto stesso di prevenzione degli infortuni che, quando riferiti alla testa, oltreché gravi presentano peculiarità del tutto inaspettate.

I laboratori MIPS a Stoccolma
I laboratori MIPS a Stoccolma

MIPS è un acronimo e sta per Multi-directional Impact Protection System (Sistema di Protezione dagli Impatti Multi-direzionali). E proprio in questo nome sta la chiave di tutto. I fondatori del marchio, Hans von Holst (neurochirurgo e professore emerito del prestigioso Karolinska Insitutet di Stoccolma) e Peter Halldin (ricercatore al Swedish Royal Institute of Technology), nel 1996 diedero il via ad una vera e propria rivoluzione nel modo di concepire e progettare i caschi, tesa ad ottenere significativi miglioramenti nella protezione del cervello. Esattamente: del cervello, non solo del cranio.

Facciamo due passi indietro. “La letteratura medica dedicata allo studio delle conseguenze sul cervello degli incidenti da impatto (in ambito sociale, lavorativo, prima che sportivo), risale al 1943 – ci racconta Hans von Holst. “Da allora sono stati condotti molteplici studi in proposito ma, paradossalmente, l’attenzione dei legislatori, degli istituiti di certificazione (ndr – enti che stabiliscono le norme in base alle quali un prodotto deve essere costruito), dei costruttori, si è fermata alla superficie, alla traumatologia del cranio, ai danni evidenti causati sulle parti ossee, piuttosto che alle conseguenze derivanti dai violenti spostamenti (accelerazioni) del cervello all’interno e contro la scatola cranica”. Semplificando, sono stati presi in considerazione esclusivamente gli impatti di tipo diretto, unidirezionali, e le loro conseguenze (frattura, contusione), come in una caduta da fermo su una superficie piana.

Un impatto, molte direzioni

Gli studi condotti dai fondatori di MIPS prendono avvio proprio dall’analisi di questo stato di fatto, introducendo per primi il concetto di multidirezionalità delle forze in gioco durante un impatto in ambito sportivo, come fattore cruciale di aggravio dei danni cerebrali (a causa di concussione – vedi glossario). Il motivo, ridotto ai minimi termini, è semplice, ci spiega Peter Halldin: “Sottoposto ad un trauma diretto (frontale, laterale, posteriore, superiore) il capo (protetto da un casco) subisce una forte accelerazione in un unica direzione e il cervello al suo interno, protetto dal liquido cerebrospinale, si muove con esso senza subire particolari variazioni di stato. Al contrario, in caso di impatto multidirezionale, come in una caduta sugli sci e ancor di più in bicicletta, il cervello subisce fortissime accelerazioni all’interno del cranio che sono responsabili dei maggiori danni (talvolta irreversibili) ai tessuti sia nella zona di impatto stessa, sia in aree lontane da essa”.

A sinistra il Prof. Hans von Holst, neurochirurgo e fondatore di MIPS. A destra Peter Halldin, ingegnere e fondatore di MIPS
A sinistra il Prof. Hans von Holst, neurochirurgo e fondatore di MIPS. A destra Peter Halldin, ingegnere e fondatore di MIPS

In pratica, per intenderci, quando cadiamo sugli sci e la nostra testa (equipaggiata con un buon casco tradizionale) colpisce una superficie di neve compatta, lo fa con un angolo di incidenza obliquo (gli studi condotti da MIPS per la Federazione Internazionale dello Sci indicano una media di circa 21°) che trasferisce al cervello una accelerazione interna violenta in brevissimo tempo. Il risultato è che potremmo rialzarci senza alcun danno apparente, magari solo un po’ storditi, per poi riprendere a sciare come se nulla fosse (tranquillizzati dal solo fatto di aver indossato il casco e di non aver riportato ferite evidenti), salvo accusare a distanza di tempo (anche mesi) malesseri di vario tipo che, una volta analizzati, si dimostrano riconducibili proprio a quell’episodio traumatico, giudicato al tempo del tutto insignificante. E in questo casi, il più delle volte, le conseguenze sono irreversibili.

Neuroscienza e ingegneria, accoppiata vincente. Il sistema MIPS

Non accade di frequente che due settori apparentemente così distanti tra loro si incontrino, interagiscano e diano vita a progetti innovativi. Nel caso del sistema MIPS è successo e il risultato è stato uno stravolgimento della prospettiva sulla quale si erano basati tutti i costruttori di caschi fino ad allora. Spostare l’attenzione dall’esterno della testa, a quello che c’è dentro, cambia le carte in tavola, anzi, le regole del gioco. L’enorme mole di dati clinici raccolti dal Prof. von Holst nel corso di oltre un ventennio e le conoscenze biomeccaniche e informatiche dell’Ing. Halldin, specializzato nello sviluppo di modelli matematici in base al metodo dei modelli finiti (FEM),  hanno gettato le fondamenta di un brevetto, il MIPS, che nell’arco di soli dieci anni si è imposto come l’ingrediente fondamentale capace di innalzare il livello di sicurezza dei caschi, siano essi destinati allo sport o alle attività lavorative.

L’ammortizzatore del cervello

Come per tutti gli ingredienti di prestigio (tessuti, membrane, imbottiture, suole, materiali ammortizzanti), protagonisti del successo di molteplici prodotti dei migliori marchi, il sistema non lo vedi. Sta dentro il casco. Consiste in una calotta di materiale plastico leggero (che va a contatto con il capo, rivestita con una fodera) collegata alla vera e propria calotta protettiva esterna mediante quattro appositi tiranti elastici che consentono lo scorrimento dei due elementi in ogni direzione, con un’escursione compresa tra 10 e 15 millimetri.

Il casco equipaggiato con il sistema MIPS agisce come un ammortizzatore del cervello, in ogni direzione.
Il casco equipaggiato con il sistema MIPS agisce come un ammortizzatore del cervello, in ogni direzione.

Cosa succede in caso di impatto? Quando il casco tocca la superficie del terreno, sia essa coperta di neve nel caso dello sci, o di terra e asfalto (in Mtb o ciclismo), con un angolo di incidenza variabile imposto dalla velocità di avanzamento del soggetto, subisce un forte e repentino rallentamento, si parla di un carico di 750 kg (l’equivalente di 10 uomini) in 5-10 millisecondi (un battito di ciglia dura 100 millisecondi!) e a questo punto entra in gioco la genialità del sistema che agisce come un vero e proprio ammortizzatore del cervello. Il capo all’interno del casco (e con esso il cervello), invece di subire le stesse sollecitazioni della calotta esterna del casco, prosegue per inerzia la sua corsa, per quei cruciali 10/15 millimetri, sufficienti a generare un sostanziale assorbimento dell’energia di impatto che, a seconda dei casi, può ridurre dal 10% al 60% i danni al tessuto cerebrale.

Il risultato? La messa in sicurezza del bene più prezioso che possediamo: il nostro intelletto, il nostro raziocinio, il centro di comando responsabile del nostro benessere psico fisico. Il cervello.

Il neurochirurgo Hans von Holts, per sottolineare l’importanza del tema mi racconta dei numerosi casi che ha potuto seguire personalmente, di sciatori e biker giunti in ospedale per un controllo, apparentemente indenni dopo una caduta, ma con severi danni al cervello una volta effettuati gli accertamenti approfonditi. E il più delle volte ne consegue una vita stravolta, per il paziente e i suoi cari, quando l’entità del danno stesso si dimostra non più trattabile e reversibile. L’unica via è la prevenzione, e il casco è parte della soluzione, purché la sua qualità, efficacia e tecnologia siano del massimo livello.

Test e certificazioni sistema MIPS

Concepita l’idea, sviluppato il modello, realizzati i prototipi, il casco equipaggiato con il BPS (Brain Protection System – Sistema di Protezione del Cervello) MIPS affronta una serie di severi esami, per poter essere prodotto industrialmente e messo in vendita. Gli adempimenti di legge obbligatori (certificazioni) sono oggi ridotti al minimo, con la sola norma EN 1077:2007, che certifica il grado di resistenza del casco agli impatti lineari. E’ quanto stabilito a livello internazionale, ma per MIPS non è sufficiente.

L'ingegnare Patrik Binkowski, nel laboratorio MIPS
L’ingegnare Patrik Binkowski, nel laboratorio MIPS

Per rispondere sul piano dell’analisi pratica alle nuove esigenze emerse dagli studi sugli impatti rotazionali, i tecnici dei laboratori di Täby hanno messo punto nel corso dell’ultimo decennio un test di laboratorio specifico, semplice e geniale, che è in grado di raccogliere una fitta serie di dati dalla simulazione di un impatto non più su una superficie piana, bensì inclinata a 45°. Si tratta dell’unico laboratorio dedicato a questo tema.

E’ stata pertanto costruita una torre metallica dove il casco, riempito all’interno con una “testa” finta del peso di ca. 5 kg,  viene sollevato fino all’altezza di 2,20 mt. (come da norma EN) e poi rilasciato fino a colpire una superficie ruvida inclinata a 45°. Numerosi sensori equipaggiano il casco per rilevare le forze in atto e le riprese laterali ad alta velocità consentono di monitorare ogni variazione e di riprodurre con precisione il test su altri modelli di casco. In questo modo, simulando l’impatto tipico di una caduta sugli sci, con forze di tipo rotazionale e tangenziale, i tecnici MIPS sono in grado di quantificare esattamente la percentuale di assorbimento delle forze di un casco tradizionale e di uno identico equipaggiato con il Sistema MIPS. 

A sinistra la torre metallica di "lancio" del casco per simulare l'impatto; a destra, il casco riempito con una testa finta del peso di 5 kg.
A sinistra la torre metallica di “lancio” del casco per simulare l’impatto; a destra, il casco riempito con una testa finta del peso di 5 kg.

E adesso cosa ti metti in testa?

Questa è la mia domanda. Dopo aver appreso dell’entità degli incidenti che coinvolgono la testa praticando sci e bicicletta, e le loro drammatiche conseguenze, e dopo aver visto la differenza sostanziale in fatto di riduzione dei traumi a favore del sistema MIPS, non ho dubbi. Il mio prossimo casco sarà contraddistinto dal bollino giallo con la scritta in nero, un sigillo di garanzia per il mio cervello che, con ogni probabilità in futuro, diventerà uno standard costruttivo comune a tutti marchi di caschi di alta qualità.

Glossario

  • Contusione: Lesione traumatica delle parti molli o degli organi interni senza ferita della cute.
  • Concussione (commozione cerebrale): nota anche come lieve lesione cerebrale traumatica (TMBI), è tipicamente definita come un trauma cranico che influenza temporaneamente il funzionamento del cervello. I sintomi possono includere mal di testa, problemi con il pensiero, memoria o concentrazione, nausea, visione offuscata, disturbi del sonno o cambiamenti dell’umore.
  • Frattura: l’interruzione dell’integrità parziale o totale di un osso.
  • Edema cerebrale: è una raccolta di liquido che si forma in un tessuto del cervello, premendo contro i capillari sanguigni della zona interessata. Tale compressione blocca il flusso di sangue e l’apporto di ossigeno, danneggiando, dapprima, l’area cerebrale colpita e, poi, provocandone la morte.
  • Norma EN 1077:2007: certifica gli standard di sicurezza dei caschi sportivi. Prevede due tipologie di casco: di classe A e di classe B. I caschi di classe A sono più adatti a chi pratica sport in modo molto intenso o agonistico. I caschi di classe B sono pensati invece per chi pratica sci e snowboard in modo meno impegnativo e con minore frequenza e che -pur pretendendo la sicurezza- non vuole rinunciare a praticità e comfort.
  • Liquido cerebrospinale (o liquor): è un fluido limpido ed incolore che permea il sistema nervoso centrale, proteggendo cervello e midollo spinale da eventuali traumi. Il liquor è riconosciuto anche con altri sinonimi: liquido rachido-spinale, fluido cerebrospinale, liquido cefalorachidiano o più semplicemente CSF (acronimo di cerebrospinal fluid).
  • Metodo dei modelli finiti (ovvero FEM – Finite Element Method): una tecnica dell’Analisi Numerica volta ad ottenere soluzioni approssimate per una molteplicità di problemi, in svariati campi, ivi compreso quello della bioingegneria.

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