Qualche settimana fa abbiamo parlato di come prepararsi per l’alpinismo e per l’alta quota, e di quali sono gli step per un giusto acclimatamento. Ma cosa succede veramente al nostro corpo quando andiamo in alta quota? L’abbiamo chiesto alla Dottoressa Lorenza Pratali e al Dottor Giancelso Agazzi, relativamente presidente e vice presidente della Società Italiana di Medicina di Montagna. Ecco cosa ci hanno risposto.
1. Perché si dice che in alta quota l’aria è sottile? Cosa significa?
“Aria sottile” significa che, a causa della riduzione della pressione barometrica, la quantità di ossigeno che riesce ad entrare nel nostro organismo attraverso la ventilazione si riduce (frazione inspiratoria dell’ossigeno). In quota la percentuale di ossigeno presente nella miscela gassosa che chiamiamo aria è sempre 21%, come a livello del mare. Quello che cambia è la pressione parziale dell’ossigeno, che si riduce in maniera inversamente proporzionale all’aumento della quota. Questo significa che si realizza una ridotta quantità di ossigeno nel nostro sangue (ipossiemia) e una conseguente diminuzione di ossigeno a carico di organi e tessuti. Per far capire cosa succede possiamo usare uno strumento che abbiamo conosciuto purtroppo bene con la pandemia del Covid: il saturimetro. Se ci misuriamo la saturazione dell’ossigeno al livello del mare, e non abbiamo patologie respiratorie o cardiache, i valori di saturazione saranno compresi tra il 96 e il 100%. Quando saliamo in quota, ad esempio a 3000 metri sul livello del mare, la riduzione della pressione parziale di ossigeno può portare il valore della saturazione da 98% a 90% (chiaramente con variazioni individuali). Questi valori, se li trovassimo al livello del mare, sarebbero considerati patologici, ma sono invece normali in relazione al livello di quota.
2. Cosa comporta questa “carenza” d’ossigeno per il nostro corpo?
Come detto sopra, la riduzione della pressione parziale di ossigeno è la causa dell’ipossiemia e quindi di una riduzione della quantità di ossigeno agli organi e tessuti. L’ossigeno è fondamentale per gli organi, per i tessuti e per le cellule. Ecco perchè gli organismi viventi, se sottoposti a una riduzione della quantità di ossigeno nel sangue, hanno dei sistemi molto efficienti che fanno scattare una reazione di allarme per cercare di tamponare questa carenza di ossigeno. Uno dei “centri di controllo” che si occupa di dare l’allarme è localizzato a livello delle carotidi ed è costituito da cellule super-specializzate e sensibili anche al cambiamento della pressione parziale di ossigeno. Una volta che queste cellule percepiscono la riduzione della pressione dell’ossigeno mandano un segnale per aumentare la nostra frequenza della respirazione e la nostra frequenza cardiaca e quindi la portata cardiaca, cioè la quantità di sangue pompata dal cuore in un determinato tempo. Queste sono le modifiche più immediate (da 1 minuto a pochi minuti) che si verificano quando si riduce la quantità di ossigeno nel sangue e che cercano di compensare questa carenza di ossigeno e di abituarci a questa condizione.
3. Cosa succede quando il nostro corpo si abitua alla quota? Come funziona l’acclimatamento?
Quando ci acclimatiamo a una certa quota cominciamo, ad esempio, a non avere più un’eccessiva sensazione di fatica quando facciamo le cose, possiamo avere una minore sensazione di disappetenza, riusciamo a dormire meglio durante la notte perché si riducono le apnee notturne, causate dal fenomeno dell’aumento della respirazione. Bisogna però considerare che l’acclimatamento vale per una data quota. Se ad esempio ci acclimatiamo a una quota di 3000 metri e decidiamo di salire poi a 4000, è importante osservare le regole dell’acclimatamento.
Per far abituare il nostro corpo alla quota, e quindi acclimatarci, sono importanti alcuni comportamenti:
- Evitare di salire velocemente (con mezzi meccanici ad esempio) a quote superiori a 2500 metri;
- Idratarsi molto bene. In quota aumenta la diuresi e la disidratazione è una delle condizioni nemiche del buon acclimatamento;
- Evitare di fare sforzi massimali. Non considerare le capacità di salita che si possono avere quando si cammina sotto i 1500 metri. I tempi di ascesa in quota, se non siamo acclimatati, possono anche raddoppiare;
- Evitare di fare attività fisica in montagna durante un infezione;
- Evitare di assumere alcool in quantità eccessive perché deprime una risposta efficace della respirazione.
4. Cosa succede se invece il nostro corpo non si abitua alla quota? Quali sono i rischi e le conseguenze?
Anche alle alte quote sulle Alpi si possono manifestare sintomi associati al fatto che non ci siamo acclimatati: le malattie acute di alta quota. Tra queste ricordiamo: la malattia acuta di alta quota, l’edema cerebrale di alta quota e l’edema polmonare di alta quota.
La malattia acuta di alta quota è quella più frequente anche sulle nostre montagne (fino al 30% d’incidenza). È una sindrome (insieme di sintomi) caratterizzata dalla presenza di cefalea associata a disturbi gastrointestinali, senso di fatica eccessiva, sensazione di testa vuota e/o vertigini, disturbi del sonno.
Se sviluppiamo questa “malattia acuta di alta quota” è importante evitare di fare sforzi eccessivi. Se, nonostante il riposo o l’intensità bassa degli sforzi, i sintomi dovessero peggiorare tanto da non riuscire a svolgere le normali attività, o se la cefalea dovesse peggiorare nonostante l’assunzione di analgesici, allora è indicato scendere di almeno 500 metri di quota senza fare eccessiva fatica.
L’edema cerebrale di alta quota va considerata come una condizione che mette a rischio la vita della persona e che ha una prevalenza tra lo 0,5 e 1% tra 4200 e 5500 m di quota. Se non riconosciuto e quindi trattato è causa di morte nel 60% dei soggetti.
L’edema polmonare di alta quota si può manifestare nelle persone prive di acclimatamento o predisposte (coloro che lo hanno già avuto in precedenza) alle quote al di sopra dei 2500 m di solito tra il 1° e 5° giorno di stazionamento a una certa quota. La mortalità è stata stimata del 44% se non si scende di quota o se non attuano interventi terapeutici.
5. Ruolo e utilizzo di farmaci durante l’acclimatamento
Le attività in montagna possono essere fatte per motivi di “divertimento”, per una prestazione sportiva, per motivi lavorativi. In tutti i casi le attività possono essere programmate in maniera appropriata e naturale per ottenere un ottimo acclimatamento.
Ecco quindi che l’utilizzo dei farmaci per attività in montagna ha una risposta affermativa e condivisa dalla comunità medica nel caso del trattamento delle malattie acute di alta quota insorte durante l’ascesa.
L’utilizzo dei farmaci in profilassi è una questione di etica. Un documento molto interessante pubblicato nel 2016 da UIAA (Union Internationale des Associations d’Alpinisme) raccomanda l’acclimatazione alla quota senza uso di farmaci. I farmaci non dovrebbero essere usati da persone sane che vogliono andare in quota con l’unico intento di salire in alto e velocemente.
La Società Italiana di Medicina di Montagna può fungere da strumento per avere un primo consulto con uno specialista e per avere una prima indicazione sui comportamenti appropriati da tenere in montagna, sia nei soggetti sani che nei soggetti portatori di patologie. E’ di qualche settimana fa la notizia che la coppia italiana Nives Meroi e Romano Benet sono arrivati in vetta al Kabru South (7314 m), una vetta mai salita prima, in stile alpino, in autonomia e senza l’utilizzo di farmaci, ma grazie a un perfetto acclimatamento e allenamento alla quota.
Ecco quindi spiegata la scienza che sta dietro all’acclimatamento. L’esposizione alla quota può avere un effetto diverso per ognuno, ed è pressoché impossibile sapere esattamente come si comporterà il nostro corpo. L’esperienza ci aiuterà a conoscere il nostro corpo e a gestirlo durante l’attività in montagna, mentre la conoscenza e un comportamento corretto ci aiuteranno a prendere le giuste decisioni, per raggiungere i nostri obiettivi consapevolmente e in sicurezza.
Un ringraziamento alla Dott.ssa Lorenza Pratali e al Dott. Giancelso Agazzi, presidente e vice presidente della Società Italiana di Medicina di Montagna.