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Artva, che cos’è e come si usa

Omar Oprandi ci spiega come usare lo strumento di ricerca travolti in valanga

Scritto il
da Redazione outdoortest.it

Artva è l’acronimo di “Apparecchio di Ricerca dei Travolti in VAlanga”. Una volta era chiamato Arva, poi negli ultimi anni è stata aggiunta la T di “travolto”. Insieme a sonda e pala, è uno strumento obbligatorio in diverse regioni per chi fa fuoripista, sci alpinismo o un’escursione sulla neve. Come e quando si utilizza? Come si usa in caso di ricerca di dispersi sotto valanga? Lo abbiamo chiesto ad Omar Oprandi, testimonial del marchio Arva equipment, Guida alpina dal 1997, Tecnico del Soccorso alpino, alpinista e sci alpinista con un curriculum di grande rilievo.

 

Omar che cos’è l’Artva?
L’Artva è uno strumento che serve in caso di travolgimento da valanga: in base alla modalità di utilizzo, trasmette o riceve un segnale che ci permette di identificare una persona sepolta sotto la neve. Durante la gita sulla neve il nostro Artva trasmette un segnale e quindi una posizione tramite delle onde magnetiche. A chi trasmette? A tutti gli Artva che temporaneamente passano in modalità ricerca.

Arva Neo+
Arva Neo+

Possiamo dire quindi che un Artva da solo non basta, bisogna che ce ne sia almeno un altro e che in un gruppo ciascuno abbia il suo. Corretto?
Certo che sì, ogni componente del gruppo deve avere il suo Artva e ti spiego perché. Poniamo il caso di andare a fare una gita insieme: se io vengo travolto e ho l’Artva con me, il mio strumento sta trasmettendo ma non c’è nessuno in grado di riceverlo. Allo stesso modo viceversa, se ce l’hai solo tu e io sono sepolto ma non ho un Artva che trasmetta la mia posizione, non ho modo di comunicare con il tuo Artva.

Continuiamo nell’esempio. Il nostro gruppo si prepara per una gita sulla neve e prima di partire tutti accendono l’Artva. Durante l’escursione alcuni compagni vengono travolti da una valanga e restano sepolti sotto la neve: che facciamo noi illesi?
Guardiamo il nostro strumento. Una volta gli Artva erano analogici ed emettevano un bip tanto più forte quanto più ci si avvicinava all’Artva sepolto. Oggi invece gli Artva sono digitali e sullo schermo ci dicono esattamente dove andare a cercare: nel momento in cui lo strumento emette il segnale di ricezione contemporaneamente sullo schermo vedo il numero di metri che mi mancano per arrivare sul punto esatto in cui si trova il sepolto e una freccia che mi dice se questi metri sono da fare verso sinistra o verso destra. Quindi dobbiamo affidarci assolutamente a quello che ci dice l’Artva, tenendo conto che segue l’onda dello strumento seppellito.

Una volta trovato il corpo ci servono una sonda e una pala..
Una volta che ho raggiunto il luogo in cui si trova il sepolto tutti gli strumenti emettono un altro tipo di segnale che ti avvisa di essere arrivato molto vicino. Facciamo il caso che il sepolto si trovi sotto 2 o 3 metri di neve: io che cerco sono in piedi e ho l’Artva in mano vicino alla faccia, di conseguenza possiamo dire che lo strumento dista un metro e mezzo dal suolo. Conviene a questo punto avvicinare l’Artva al terreno e metterlo in posizione orizzontale, in questo modo guadagniamo almeno un metro. Non sappiamo però ancora se il sepolto è esattamente sotto la mia mano o 2 metri a destra o a sinistra. Iniziamo quindi la cosiddetta “ricerca a croce”: la mano tenuta sul suolo va avanti, poi arretra, poi si sposta verso sinistra e poi verso destra, seguendo quello che leggiamo sullo schermo. Trovato il punto giusto tiriamo fuori la sonda: bucando la neve arriviamo a sentire dov’è la persona e troviamo il punto esatto in cui scavare.

Omar Oprandi Guida alpina e Tecnico del Soccorso alpino
Omar Oprandi Guida alpina e Tecnico del Soccorso alpino

Quale raggio di ricerca ha l’Artva?
Sul mercato ci sono diversi tipi di strumenti, che presentano raggi differenti che dipendono da più fattori. Il primo è il numero di antenne che hanno internamente incorporate. Gli Artva di base, di fascia economica più bassa, normalmente oggi hanno almeno due antenne, una volte ne avevano solo una. Un’antenna trasmette in una sola direzione. Se nell’apparecchio ho un’antenna orizzontale, una verticale e una di traverso il mio segnale andrà in tre direzioni diverse e quindi sarà più potente. Normalmente la capienza di un Artva parte da un minimo di 20 metri, che sono ben sfruttabili nel caso di una valanga di medie dimensioni che ha un’area molto delimitata. È raro trovarsi di fronte a valanghe molto più grandi.

È necessario che gli Artva siano della stessa marca per comunicare fra loro?
No. Tanti anni fa è stata stabilita a livello mondiale una frequenza uguale per tutti e ovunque. Così un Artva comprato in America trasmette e riceve con la stessa frequenza di un Artva italiano.

Prima di uscire sul campo, è necessario imparare a usare non solo l’Artva, ma anche la sonda e pala…
Certo. L’Artva salva la vita solo se lo si sa usare, ma non basta saper usare solo l’Artva, bisogna anche essere in grado di utilizzare la sonda e la pala, in sostanza tutto il kit di autosoccorso. Perché se ho trovato il corpo sepolto, prima con l’Artva e poi con la sonda, ma non so come scavare tutta la ricerca sarà stata inutile. Per esempio se scavi dall’alto verso il basso, dopo i primi 40 o 50 cm, non scenderai maggiormente a fondo, perché se hai fatto un buco abbastanza grande da entrarci se ci entri lo riempi. Come si sposta la neve allora? Facciamo l’esempio di un pendio inclinato da destra verso sinistra. L’Artva riceve il segnale, la sonda la piazzo in maniera verticale: dovrò scavare, in base a quanto affonda la sonda, la stessa distanza moltiplicata per due verso valle e spalare orizzontalmente. In questo modo la neve che sposto la porto a valle.

Omar Oprandi
Omar Oprandi

A chi mi rivolgo per imparare a usare il kit di autosoccorso?
Alle Guide alpine che sono professionisti, sono formati a fare questo e sono tutti i giorni sul campo, oppure alcune sezioni CAI fanno dei corsi. La teoria oggi la si trova ovunque anche online, ma metterci le mani è un’altra cosa. Bisogna fare pratica assolutamente. Anche perché ci si trova a usare questi strumenti in situazioni difficili, in cui entrano in campo la paura, la fretta, l’angoscia. Io che posso dire di maneggiare gli Artva quasi da quando sono nati, ogni inizio di inverno faccio sempre e comunque due o tre prove, per essere pronto nel caso dovesse succedere davvero. Anche perché in caso di una valanga su un terreno privo di particolari criticità, per i primi 15 o 20 minuti abbiamo buone probabilità di salvare una persona sepolta.

Nella tua esperienza anche di soccorritore, quanto può fare la differenza?
La sopravvivenza di un sepolto dipende in massima parte dall’autosoccorso, è il gruppo stesso che salva chi è rimasto sotto. Nel caso di un soccorso organizzato le possibilità di trovare vivi chi è sepolto sono minori, perché passa molto più tempo, e poi naturalmente subentrano i traumi, l’ipotermia, ecc. Più agisco in fretta, più ho possibilità di salvare la vita del sepolto.

 

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